martedì 13 novembre 2012

Il Cuore della Città


Tutto intorno a lui era quieto.
Le ombre della città si stavano allungando nella tenue luce rossastra del tramonto, avvolgendo con tentacoli scuri le vie ed i vicoli, mentre facevano risplendere di una strana luce malsana le facciate degli edifici rivolti ad ovest.
La parte vecchia della città era avvolta invece dalle ombre degli edifici più grandi che la circondavano, e già da molto tempo le sue piccole strade erano sommerse nelle tenebre. Qui vivevano poche persone, per lo più anziani ed emarginati, e a quell'ora del crepuscolo le vie erano semideserte.
Ogni tanto incrociava qualche gruppo di giovani, seduti di fronte alle porte degli edifici o appoggiati alle proprie macchine, intenti a fumare o litigare tra loro. Altre volte intravvedeva gruppi più piccoli sgattaiolare nei vicoli verso il loro prossimo misfatto.
Di tanto in tanto la quiete veniva interrotta da un rumore più forte, come il passaggio di un'auto o il distante rumore di qualcosa che si spezza, forse addirittura uno sparo.
Si avvolse ancora di più nel lungo cappotto nero, cacciandosi le mani in tasca per ripararle dal freddo umido che cominciava a serpeggiare per quelle vie, come una creatura orribile che, svanita la luce del sole, usciva dai tombini e dalle fogne strisciando alla ricerca delle sue prede. Scacciò quel pensiero scuotendo il capo, e le ciocche di capelli scuri gli andarono a coprire gli occhi.
Svoltò.
Si ritrovò in una strada più piccola e tortuosa di quella appena abbandonata, giusto larga abbastanza per far passare due persone affiancate. Ai lati di questa, incastrati nelle fiancate di alti edifici, si ergevano antichi portoni incassati. Certi erano chiusi con pesanti porte di ferro o di legno, mentre altri erano aperti e davano su cortili interni abbandonati e selvaggi di palazzi un tempo ricchi e sfarzosi. Tutto era rovina ed anticaglia.
Qui e lì si intravvedevano vagabondi sdraiati o gruppetti di strane persone condurre affari probabilmente piccoli, meschini e probabilmente loschi, ma lui non era qui per questo.
Cambiò strada un altro paio di volte e pareva che ad ogni volta che svoltasse queste si stringessero sempre più. Seguiva uno schema nel suo percorso, come una logica nota soltanto a lui. E ogni volta che cambiava strada ne imboccava una ancora più stretta. Incrociava sempre meno persone e sempre più spesso queste persone erano strane, diverse. Alcune avevano occhi di colori strani, altre pareva nemmeno provenissero da questo mondo tanto erano perse nelle loro stesse menti. Alcune invece erano individui oscuri come lui stesso e si nascondevano tra le ombre dei cortili sotto alle fronde degli alberi, come a voler rifuggire i raggi pallidi della luna.
La strada che stava seguendo si interruppe quando ormai era talmente stretta che, a parte quando incrociava l'androne d'una porta o l'apertura su un cortile a fare spazio, doveva procedere camminando di traverso. Lì il vicolo sbucava su una piccola specie di piazza semicircolare. Di fronte a lui, ad interrompere quel cerchio di bassi muretti che partiva ai lati dello sbocco della piccola via, stava un edificio largo più dello spiazzo stesso e che su questo affacciava il suo ingresso. Questa era una porta a doppia anta di un verde scuro, quasi marcio, ornata da spesse borchie di vecchio metallo.
La porta era leggermente rialzata e sulla scalinata quadrata che saliva stava una figura. Pareva piccola. Avvolta in uno spesso mantello nero. Sotto al cappuccio si poteva intravedere un volto senza età, ma sgraziato e brutto nei lineamenti, con un naso sporgente ed un mento nodoso come la radice di un albero secolare. Dalla schiena gli spuntava una gobba che gli dava un'aria irreale e la posizione delle braccia faceva sembrare che questi fosse un uomo estremamente alto la cui colonna vertebrale, attorcigliata in maniera strana, si ripiegasse su sé stessa dando quello strano effetto ingobbito. Le lunghe braccia pendevano ai suoi fianchi ed aveva un'aria annoiata. Lo sguardo che vagava avanti ed indietro alla ricerca di qualcosa su cui posarsi come se quello scenario che aveva davanti fosse sempre lo stesso da giorni e giorni, e forse era proprio così.
<<Finalmente...>> Borbottò quella strana figura non appena vide l'estraneo introdursi nella piazzetta e cominciò a muoversi verso di lui con una andatura lenta ed ondulante. <<Che ne hai messo di tempo!>>
<<Sei un buon guardiano, Lachamot.>> Rispose questi, man mano rallentando mentre la figura del gobbo si avvicinava mostrando che in realtà era tutt'altro che piccolo e rachitico, ma alto e imponente nonostante fosse curvo. <<Ti ho chiesto un favore e in cambio te ne ho esaudito un altro. Non temere. I patti sono stati mantenuti.>> E così dicendo estrasse da sotto la giacca una piccola moneta. Sembrava antica, ma la stampa precisa era illeggibile dato che il piombo non aveva mantenuto bene la sua forma per tutto quel tempo. Qui e lì si intravvedeva ancora la doratura che le era stata applicata dal falsario che l'aveva prodotta molto tempo prima.
<<È autentica?>> Chiese Lachamot.
<<No.>> Rispose lo straniero in tutta sincerità e gliela porse.
Il guardiano lo guardò con sospetto. Prese la moneta con le lunghe dita ossute e la soppesò attentamente, scrutandola con quei suoi occhi torbidi. Sulle prime non sembrava soddisfatto e continuava a lanciare occhiatacce all'altro come se volesse vedere se questi stava mentendo. Si cacciò poi la moneta in bocca e, dopo averla morsa e masticata, la deglutì.
<<Soddisfatto?>> Chiese lo straniero.
Lachamot lo guardò trovo. <<Per ora sì.>>
<<Per ora...? Avevamo un accordo, ricordi?>>
L'altro borbottò qualcosa e attorno a lui s'addensò l'ombra. Pareva che la notte si stesse facendo più fitta, come se da sotto al suo mantello uscisse lentamente ombra solida. Chiaramente non era contento.
<<Io ti ho dato quanto mi avevi chiesto. Ora tu portami da lei.>>
<<Come vuoi, Lewis.>> Ringhiò il gobbo. <<Ma non pensare che la prossima volta sarò così generoso con te.>>
Lachamot si girò e risalì i suoi gradini e lentamente si aprirono le porte di fronte a lui. La notte si fece sempre più buia e il cielo stava oscurando la luna e la luce di quelle poche stelle che si vedevano oltre agli aloni luminosi della città.
<<Prego...>> Grogogliò il guardiano della porta, cedendogli il passo.
Lewis entrò.
Si trovava in uno di quei vecchi edifici di epoca coloniale. La struttura in legno e muratura era visibile in più punti dove l'intonaco e l'antica carta da parati avevano ceduto e qui e lì s'accumulavano collinette di detriti marcescenti. I mobili che avevano retto al tempo e all'umidità rimanendo abbastanza integri si ergevano cupi lungo le pareti rovinate. Librerie, armadi, cassettoni e mensole si trovavano in ordine sparso in giro e certe volte anche rovesciati per terra.
La prima stanza che incontrò dopo aver attraversato un breve corridoio le cui pareti erano dipinte di verde e quello che una volta doveva essere bianco era una specie di salone. Lungo le pareti di questo salivano delle scale di legno dall'aspetto avvizzito e marcio, ma ancora integre. Al centro, appoggiato al muro di fronte a lui, stava un grosso orologio a pendolo imponente come un armadio, ma fermo ad un'ora di molto tempo fa. L'odore di chiuso e di vecchio rendevano l'aria irrespirabile. Anche la polvere era ormai talmente spessa ed intrisa di umido da appiccicarsi alle superfici creando una patina quasi solida.
Lewis cercò di ignorare tutto questo e prese la scala sulla sinistra. Tutta la struttura cigolava e scricchiolava ad ogni suo passo e più di una volta dovette ritirare il piede da dove l'aveva appoggiato, sentendo il legno farsi morbido e cedevole sotto al suo peso. A metà percorso, dove raggiungeva la parete in fondo alla stanza, la scala girava verso destra andando ad unirsi alla sua altra parte al centro della sala, sopra al vecchio orologio.
Quando raggiunse l'ultimo gradino sentì sotto di lui suonare dei rintocchi lenti e tristi, che altrettanto lentamente e tristemente percorrevano l'aria come onde sospinte dal mare placcido. Si udirono degli scricchiolii e davanti a lui, in fondo ad un altro corridoio che iniziava dove la scalinata finiva, si aprì una porta.
Il corridoio era piuttosto lungo e le mura di questo erano storte al punto che il percorso stesso fra queste pareva serpentino. Ad intervalli irregolari si aprivano altre porte su quello spazio angusto, ma tutte erano chiuse e Lewis non poté curiosare oltre. Decise così di dirigersi direttamente a quella che gli si trovava davanti. Alle sue spalle sentì i rintocchi dell'orologio affievolirsi e poi un tonfo mentre il portone che dava inizio a quel corridoio si chiudeva pesantemente. "Dannazione." Pensò. "Dovevo fare più attenzione..." Scosse il capo facendosi avanti fino a raggiungere quell'apertura, il più lontano possibile da quei cupi rintocchi che ancora lo perseguitavano attutiti ma non smorzati dal portone di legno dietro di lui, e sbirciò oltre.
La stanza era grande forse la metà del salone che si trovava all'ingresso, ma l'ordine le dava un aspetto più spazioso. Lungo tutte le pareti erano state allineate delle librerie, tutte di fattura diversa, cariche di libri e pergamene dall'aspetto antico. Lewis sapeva che quelle dovevano contenere tutta la storia della città. Era per questo che era venuto fin qui. Qui e lì l'immensa parete di librerie s'interrompeva per lasciare spazio ad una finestra, ma anche in questo caso nemmeno un millimetro di parete era lasciato libero ed i mobili circondavano letteralmente l'apertura su tutti i lati. Le finestre stesse erano in grandissima parte sbarrate con assi di legno e la debole luce della città filtrava pochissimo e illuminava poco o nulla. L'unica fonte di luce erano una serie di candelabri poggiati su di una scrivania in legno massiccio posta al centro della stanza, che reggevano molte candele ormai sciolte e ridotte a poco più che cumuli di cera incrostati sulla superficie del tavolo.
Dietro alla scrivania sedeva una donna. Questa era ovviamente vecchia e la sua pelle rugosa era del colore della pergamena e coperta di inchiostro. Lewis si avvicinò di qualche passo e vide che quell'inchiostro sulla sua pelle si muoveva e ricreava forme sempre nuove: scritte, disegni, simboli. Di fronte a sé teneva un libro aperto, che accarezzava con un dito, ma laddove il dito toccava lasciava delle scritte disordinate o produceva dei segni incomprensibili. Era tanto china sul suo lavoro che non si accorse nemmeno del suo ospite finché i rintocchi dall'orologio nel salone non cessarono e finalmente udì scricchiolare poco lontano da lei il pavimento.
Sollevò lentamente il capo, quasi come se l'ossatura si stesse riadattando ad una nuova conformazione, ed il viso nascosto dai lunghi capelli grigi e macchiati da chiazze di inchiostro si fece più visibile. Con grande stupore vide un volto di fanciulla, bella ma inespressiva, con la pelle grigia e senza tempo ricoperta anche questa dal quello strano inchiostro che sgorgava dalle voragini nere laddove avrebbero dovuto esserci gli occhi.
<<Benvenuto.>> Disse il Cuore della Città. <<Ti stavo aspettando...>>

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