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mercoledì 9 gennaio 2013

Il Tocco degli Spiriti Antichi - Noemi Gastaldi

 Sono contenta di poter ospitare in questo blog un'altra autrice fantasy, di cui spero avrò l'occasione di parlarvi anche in altri futuri post: si tratta di Noemi Gastaldi, che ci dà qui un assaggio del suo romanzo fantasy, disponibile su amazon.
Spero che questo sia solo l'inizio, e avremo presto molti altri autori di cui parlare!


Aveva iniziato a nevicare e le strade erano deserte. Soltanto pochissime incredule persone videro una donna lottare spasmodicamente contro un’armatura.
Francesca corse veloce fino a portarsi alle spalle dello spettro, lasciò cadere il borsone ai suoi piedi e prese a concentrarsi. In quel momento, l’armatura si girò verso di lei e si fermò, come se d’improvviso fosse inanimata. Il clangore delle sue giunture tradì subito la sua natura materica, molto differente da quella di un Larius, per quanto il bagliore con cui era apparsa fosse molto simile a quello degli spettri bambini. I Larius, infatti, pur essendo perfettamente in grado di provocare fastidiosi rumori di varia natura e di distruggere oggetti, mantenevano sempre una parvenza evanescente che non aveva nulla a che vedere con l’aspetto solido e imponente di quel nuovo tipo di spettro.
Le mani della Viator si mossero rapide e decise: senza esitazioni, Francesca prese una mistura di erbe e la lanciò in aria, poi, con una rapidità inaudita, accese un fiammifero e lo lanciò tra le foglioline ancora sospese tra i fiocchi di neve. Una piccola esplosione di nebbiolina verdastra avvolse le sue mani fino agli avambracci: in una frazione di secondo questi vennero ricoperti da uno strato sottile di metallo scuro che proseguiva fino alla punta delle dita, prolungandone le unghie in forti lame affilate. La Viator chiuse gli occhi e si concentrò ancora, poi attaccò l’armatura: sferrò un colpo rapido, mirato a infilare le sue lame nella cotta di maglia che congiungeva l’elmo al corpo dell’armatura. Lo spettro rispose altrettanto velocemente, parando il colpo con la sua mano metallica. Con uno stridio raccapricciante, le lunghe unghie di Francesca lasciarono cinque profondi segni lucidi sul polso del suo nemico, mentre la Viator sferrava un nuovo colpo con l’altra mano, mirando questa volta a infilare le unghie nel ventre dell’armatura. Ancora una volta lo spettro parò il colpo; Francesca si fece indietro di un passo e l’armatura si bloccò nuovamente davanti a lei.
Francesca si portò nuovamente le mani alle tempie, cercando di richiamare alla memoria tutte le sensazioni che aveva provato al tocco di quel metallo scuro: le sue mani frugarono ancora nel borsone alla ricerca del giusto rituale, riempirono una piccola beuta di vetro con dei pigmenti colorati e la scagliarono contro l’armatura. Subito dopo, un nuovo lancio di erbe, un nuovo fiammifero e una nuova esplosione verdastra. Le sue unghie divennero più lunghe e più forti. Francesca tentò subito di colpire al collo il suo nemico e, questa volta, quando il braccio metallico parò il colpo, le unghie della Viator riuscirono a penetrare l’armatura: Francesca avrebbe staccato di netto quel braccio, ma una sospensione scura iniziò a fuoriuscire dai solchi che aveva inferto. La Viator respirò quella strana sostanza e sentì il suo corpo paralizzarsi. I suoi occhi videro il metallo che proteggeva i suoi avambracci tagliarsi di netto come sotto l’effetto di un laser, lasciando scoperta la sua pelle chiara e sottile. Una dopo l’altra, le vene bluastre del suo polso venivano recise, il suo sangue fluiva lentamente fino a sporcare la candida neve al suolo. Francesca credette di lanciare un grido, ma dalla sua bocca spalancata non uscì alcun suono. In un folle giramento di testa, si accasciò ai piedi dell’armatura tremando sul suo corpo debole.
D’improvviso, riaprì gli occhi: le sue braccia erano intatte, il metallo protettivo era al suo posto, il suo corpo era ancora forte.
L’armatura non si era mossa e portava i segni del suo ultimo attacco; la nebbiolina scura che aveva provocato quella forte illusione alla Viator, aleggiava attorno al braccio in cui le sue unghie erano penetrate.
Francesca si alzò in piedi e restò allibita davanti all’ambiguo comportamento di quello spettro sconosciuto.
Con i Laruis era stato tutto molto più semplice: quando il primo di quei bambini le aveva fatto visita, insistendo a voler essere liberato, lei sapeva già quel che doveva fare. Le sue frequenti e intense ibridazioni con le bestie le avevano dato sufficiente conoscenza e potere per creare una sorta di pozione che, unita alla sua volontà, avrebbe dissolto quello spirito camuffato da infante senza problemi.
Invece, con quell’armatura, nulla sembrava funzionare. Francesca era esausta, ma lo spettro restava fermo in mezzo alla neve; non sembrava per nulla interessato a combattere con lei e, fin dal principio, si era difeso senza mai attaccare. La Viator si convinse che dovesse essere anch’esso qualcosa di molto simile a un Larius, e che stesse attendendo di essere dissolto.
Si concentrò ancora una volta, richiamando alla mente le nuove informazioni acquisite. Le sue mani si mossero rapide e disegnarono uno strano simbolo sul sottile strato di neve che ricopriva l’asfalto, poi armeggiarono all’interno del borsone ed estrassero un coltello dalla lama ricurva. Con tutte le sue forze, Francesca piantò la punta del coltello al centro del simbolo che aveva davanti e, finalmente, l’armatura vacillò: per qualche secondo apparve evanescente e poco solida, certamente Francesca sarebbe riuscita a distruggerla sferrando un nuovo attacco a seguito di quel rituale. Quell’armatura, però, non era intenzionata a lasciare che questo accadesse. Non se ne era stata ferma ad aspettare per esser “liberata”, non aveva assolutamente la volontà di far cessare quello stato di cose. Lei voleva solo conoscere la forza della Viator che aveva davanti.
Mentre Francesca si concentrava un’ultima volta per terminare quel che aveva iniziato, l’Armatura aprì il suo elmo e ne fece fuoriuscire un’emanazione nera che colpì in pieno il volto della Viator.
Francesca cadde prima in ginocchio, poi si ritrovò sdraiata a terra: non riusciva a vedere nulla né a muoversi.
Quando si riprese, era bagnata fradicia e mezza congelata. Sia Roberto che Lucilla erano finalmente riusciti a raggiungerla.
L’armatura era ormai lontana.


Questo era solo un piccolo assaggio... 
Se volete sapere il resto della storia - o anche il suo inizio, se è per questo - non vi resta che acquistare l'ebook su amazon!

lunedì 1 ottobre 2012

Stelle Cadenti


Pioveva fuoco dal cielo, questo pensò Karl guardando fuori dalla sua capanna in mezzo ai campi. Impaurito spense la candela, temendo che il cielo vedendo dall’alto la sua luce avrebbe gettato tutta la sua furia contro di lui. Aveva perso la moglie anni prima, dalla quale non aveva avuto figli. Ormai i suoi capelli castani erano diventati grigi ed intorno ai suoi occhi color nocciola c’erano rughe, la pelle era scottata dal sole per colpa dei suoi giorni in mezzo ai campi. La sua era una vita dura, una vita fatta di sacrifici. Aveva quel piccolo terreno che gli dava abbastanza da vivere lì lontano dal villaggio. Gran parte di quel che guadagnava veniva speso in birra. Non era di certo l’ubriacone del paese, ma ci andava tristemente vicino. Gli restava solo l’alcool come fonte di gioia in una vita patetica, una vita senza senso da quando la sua donna se ne era andata, senza figli, un lavoro faticoso e privo di gioia. Eppure ora aveva paura di morire. Se ne stette rannicchiato, ad osservare dalla finestra. 
Stelle cadenti, le chiamavano così quando il cielo crollava. Di tanto in tanto lanciava nervose occhiate alla luna piena, temendo che anche quella gli sarebbe caduta addosso, ma lei rimase lì. Invece vide chiaramente una stella tutto d’un tratto cadere dall’alto verso la sua destra e piombare all’interno del grande bosco davanti ai suoi campi. Il boato fece tremare la terra e la polvere dalle travi si riversò all’interno dell’unica stanza in cui si trovava il contadino. Gli alberi si piegarono sospinti da un improvviso vento. Il lampo che ne seguì lo costrinse a chiudere gli occhi e mentre si tappava le orecchie si chinò sotto la finestra. La capanna tremava. Un secondo bagliore più debole lo spinse a stringere ancora di più le palpebre spaventato e la terra tremò ancora anche se leggermente. Quando riaprì gli occhi la pioggia di fuoco era finita, il cielo notturno era sgombero.
Fuori dalla capanna la notte era troppo silenziosa: non c’era il solito canto dei grilli o il suono di qualche animale notturno e l’aria era carica di qualcosa che Karl non riusciva ad identificare. Guardò verso il bosco. I pini in lontananza erano visibilmente piegati, parecchi aghi erano caduti dai loro rami ed ora il terreno era coperto da un manto verde scuro. Si sentiva attratto, come trascinato in quel luogo buio a quell’ora della notte. Fortunatamente la luce della luna rendeva obsoleto l’uso della torcia e per di più aveva troppa paura per rendersi così visibile da lontano. Prese l’accetta vicino ad una catasta di legna da ardere e si addentrò nel bosco, a capo chino attento a dove mettere i piedi per non incespicare in qualche ramo, sasso o buca.
L’aria carica di odori lo accolse. Da qualche parte una volpe correva in direzione opposta seguita da una lepre e man mano che si addentrava sempre di più vedeva animali correre via o nascondersi nelle insenature del terreno, in buche, tra i rami. Tutto ciò turbava Karl, ma era come se un filo invisibile lo trascinasse, facendolo andare avanti. Gli alberi ora erano fortemente inclinati, alcuni erano persino caduti. Fino a quando arrivò ad un tratto dove si ergeva una selva di pini bruciati, di cui però ancora pochi si ergevano come scheletriche dita nere e la luce filtrava meglio. Karl guardò con cura ora che poteva e vide che al centro preciso di quella selva i pini erano spariti, lasciando al loro posto la cenere nerastra, circondando un gigantesco cratere.
Il contadino si fece coraggio, facendosi avanti in mezzo a quella distesa piana piena di cenere nerastra, avvicinandosi man mano all’enorme cratere sempre più attirato. Non sapeva cosa sentiva di preciso, c’era curiosità, c’era paura, ma anche qualcos’altro, un desiderio, ma non riusciva a capire di cosa con esattezza. Prima che potesse affacciarsi però sentì un rumore: Zoccoli contro il terreno dall’altra parte del cratere. Forse non li aveva sentiti prima, forse quella tensione lo aveva distratto, si voltò e corse a perdifiato verso uno degli alberi inceneriti, il primo che trovò fu il suo nascondiglio ed attese qualche istante là dietro. Sentì quei rumori farsi sempre più vicino, fino a fermarsi, poi dei rumori di passi ed una voce:
< Voi due, controllate cosa c’è là dentro. > Una voce maschile ed imperiosa sovrastò ogni rumore.
Il contadino ancora una volta si fece coraggio, socchiuse gli occhi per mettere bene a fuoco. Erano una ventina di uomini, erano ben visibili perché portavano delle torce. Erano dei soldati, probabilmente delle guardie del Lord dato che portavano la sua insegna: Un corvo nero in campo bianco, portavano pettorali in cuoio, cotta di maglia ed un elmo aperto. Ora erano tutti a piedi tranne due, quello che sembrava il loro comandante da come dava ordini ed un uomo incappucciato che cercò di seguire due soldati, proprio quelli che si avvicinavano al cratere. Il cavallo dell’uomo si incaponì, non voleva muoversi, incominciò a nitrire, ad agitarsi, a scalciare, tanto che l’uomo incappucciato alla fine fu costretto ad arretrare, solo a quel punto il suo destriero sembrò calmarsi. I due mandati in avanscoperta si muovevano a passi lenti, uno di loro incominciò a sollevare la torcia che portava, una volta raggiunto il ciglio del cratere la sporse in avanti, quando il braccio fu protratto totalmente le cose cambiarono radicalmente. La torcia venne lasciata cadere nel vuoto e la guardia lanciò un urlo spaventoso, folle, arretrò e si accasciò a terra. L’altra incominciò a correre via, urlando di continuo:
< Scappate! Fuggite da qui! > I soldati incominciarono ad agitarsi, tranne il comandante e l’uomo incappucciato.
< Prendetelo, non lasciatelo scappare. > Ordinò quest’ultimo, un paio di uomini partirono di corsa per raggiungere quel povero pazzo.
Alla fine il comandante e l’altro scesero da cavallo, seguiti dal resto del gruppo. Presero una torcia, guardando verso il basso, il comandante arretrò di un passo, Karl poteva vedere da lì una traccia di paura e disgusto apparire e svanire dal suo volto. Finalmente riuscì a vedere il volto dell’uomo incappucciato, era un uomo maturo, dalla pelle olivastra, capelli neri come gli occhi e tratti acuminati, aveva un aspetto decisamente insolito da vedere in quel luogo. Qualsiasi cosa ci fosse là sotto non lo turbò particolarmente, lo disgustò, ma poi apparve un sorriso sulle sue labbra sottili.
< Come facevi a sapere che sarebbe stato qui? > Chiese il comandante, voltandosi verso l’uomo incappucciato, quello si mise a ridere.
< Non sapevo che ci sarebbe stato lui ma che le stelle sarebbero cadute, è successo molto tempo fa e doveva succedere di nuovo. > Si voltò verso il vecchio, con un ghigno divertito. Aveva un accento che non era di nessuna terra da quel lato del mare. < La storia si ripete sempre, non solo quella degli uomini. Anche l’altra volta la pioggia di stelle portò non solo vecchie rocce con sé. >
Da là sotto arrivarono orrendi versi, suoni che non aveva mai sentito il contadino, come se uscissero da qualcosa che non poteva essere di quel bosco, nessun lupo, nessun cervo, capriolo o cinghiale emetteva suoni simili, quei suoni fecero rabbrividire non solo lui. Molti soldati si agitarono, altri incoccarono le frecce, sfoderarono le spade o afferrarono le lance.
< Fermi! > Ordinò lo straniero, alzando la mano destra. < Dobbiamo cercare di prenderlo vivo, da morto non ci servirà nulla, branco di sciocchi! >
Poi si chinò, portandosi la mano destra alla tempia, il comandante strabuzzò gli occhi e quei suoni si attenuarono.
< Co-Cos’era quella voce? > Domandò il vecchio, i soldati abbassarono le armi ma si scambiarono occhiate perplesse.
< Ma signore, io non ho sentito nulla. > Spiegò una delle guardie, lo straniero lo azzittì con un’occhiata.
< Non stava parlando alle nostre orecchie, ma alle nostre menti. E’ potente quanto credevo, dobbiamo fare attenzione … potrebbe aver chiamato qualcuno. > Detto ciò guardò gli uomini. < Voi, circondate la buca, gli altri controllino che non ci siano estranei. >
Gli uomini incominciarono a disporsi intorno al cratere, ma altri presero a sparpagliarsi, un paio si stavano avvicinando proprio a lui. Karl non perse tempo, diede un’ultima occhiata ed incominciò a correre lontano da lì. Man mano che correva le voci si fecero distanti, sentì quegli orrendi versi ancora una volta, ora molto più alti di prima, risposero così altri suoni: corde tendersi, altre lame venir sfoderate, poi rumore di roccia e terriccio, forse qualcuno si stava calando nella fossa. Poi un urlo lo travolse, tanto chiaro da fargli accapponare la pelle.
< Aiuto! Aiutatemi vi prego! > Ma non si voltò. Karl voleva tornare alla sua patetica vita.


Questo è il primo episodio di una serie, che andranno a comporre un racconto breve dall'evocativo nome "Dèi Caduti" composto da uno dei nostri primi "seguaci"

Daniel T. è un ragazzo di 23 anni appassionato di scrittura fin da adolescente. I suoi interessi in campo letterario variano dal fantasy all'horror, tra i suoi autori preferiti si possono citare George R.R. Martin, J.R.R. Tolkien, H.P. Lovecraft ed Edgar Allan Poe.

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