Benvenuti di nuovo tra le stelle, sui Bastioni dell'Illusione.
L'avventura di Erika Corvo continua... e noi siamo lieti di continuare a narrarvela: se vi siete persi gli altri due appuntamenti, correte a recuperare i post di Bastions of Illusion che vi mancano!
Leggete queste pagine tutte d'un fiato, e poi correte a conoscerla meglio.
Erika Corvo su Amazon
Sette ragazzi scavalcarono velocemente il basso davanzale, precipitandosi
all’inseguimento del fuggitivo.
Brian percorse tutto il cortile, girando attorno al capanno del giardiniere,
provocando lo starnazzare spaventato di alcuni decorativi uccelli esotici.
Afferrò al volo una vanga e con essa si nascose dietro un angolo della
costruzione, sorprendendo con un tremendo colpo all’altezza del petto il
primo dei suoi inseguitori, il quale si accasciò al suolo con un grido
strozzato e due costole incrinate.
Il secondo del gruppetto venne atterrato da un colpo vibrato dall’alto verso
il basso che, per sua fortuna lo colse ad una spalla.
Gli altri cinque lo raggiunsero e lo fronteggiarono, estraendo corti bastoni
da sotto la giubba dell’uniforme.
Senza impegnarsi in un combattimento diretto, Black scagliò loro addosso
la vanga e tornò alla fuga.
<< Prendetelo! Non lasciatelo scappare! >> gridò Bomakov, furibondo
per la facilità con cui l’altro si prendeva gioco dei suoi compagni, in quel
mordi e fuggi.
I due ragazzi a terra non riuscirono a rialzarsi.
Black corse a perdifiato, saltando agilmente il basso muretto di cinzione
che separava l’area adibita a convitto dagli orti botanici.
Appena al di là del muro, afferrò un ramo tagliato da una catasta
accumulata da alcune potature, e invece di proseguire la fuga si nascose,
accosciato accanto al muretto.
Non appena uno dei ragazzi lo scavalcò, si rialzò di scatto e brandendo il
ramo a mo’ di clava, colpì l’infelice con un poderoso colpo tra schiena e
collo, sufficiente a tramortirlo. Subito dopo scaraventò di peso il ramo
dall’altra parte del muro. Un grido di dolore lo informò che uno dei suoi
avversari era stato centrato.
Tornò a darsi alla fuga mentre quattro figure scavalcavano velocemente il
muro alle sue spalle, proseguendo l’inseguimento.
Correndo alla massima velocità possibile attraverso il terreno dissodato di
fresco, riuscì nuovamente a distanziare i suoi avversari.
Ansante e madido di sudore, si fermò a riprendere fiato dietro ad un basso
capanno per gli attrezzi quando, improvvisamente, questo esplose con un
lampo accecante e un boato.
Black venne scaraventato a terra, semisepolto tra assi spezzate e rottami.
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Vedendolo rimanere immobile, quattro inseguitori si arrestarono.
<< Che diavolo è successo? Perché è esploso, quel capanno? >>
<< Non lo so, Bruno. Black non si rialza. >>
<< Non si muove più. Che sia morto? >>
<< Supremo Devaj! Finiremo tutti nei guai! Chi glielo spiega, al rettore,
che non siamo stati noi ad ucciderlo intenzionalmente? >>
<< Bastardi Dèi, filiamocela, Boma! >>
<< Si, filiamocela! >>
<< E Black? Non controlliamo se sia vivo o morto? >> obiettò Bruno
Bomakov.
<< E se qualcuno ci vedesse accanto a lui? Un conto è una rissa, un altro è
un’accusa di omicidio. Tu fa’ quello che vuoi: io me ne vado. >> disse
Caibo, pallido e tirato.
Come un sol uomo, i tre ragazzi si girarono e fuggirono via. Bomakov
esitò un solo secondo, poi li seguì.
Un uomo uscì correndo da un secondo capanno, poco distante da quello
saltato in aria. Raggiunse il luogo dell’esplosione e con una certa
apprensione costatò la presenza di un corpo che non avrebbe dovuto
esserci. Iniziò allora a scostare freneticamente le assi che lo ricoprivano, e
dopo aver rivoltato sulla schiena il malcapitato privo di sensi, gli tastò
l’arteria giugulare, poi lo trascinò all’interno del secondo capanno.
Nel riaprire gli occhi, Brian Black vide un volto sconosciuto chino su di
lui, e lo sconosciuto a cui apparteneva quel volto lo stava schiaffeggiando.
Con uno scatto degno di una tigre si rimise in piedi e, afferrato l’uomo per
il bavero, lo sbatté contro la sottile parete di assi inchiodate.
<< Posso anche capire una rissa o un pestaggio, ma a farmi saltare in aria
non ci aveva provato ancora nessuno: ti assicuro che tu sarai il primo e
l’ultimo a potersi vantare di averlo fatto! >> gli ringhiò rabbiosamente sul
muso.
<< Ehi, guarda che ti stai sbagliando, fratello! Ti assicuro che io non…>>
Un velo scuro davanti agli occhi costrinse Brian a lasciare la presa. Con le
orecchie che ronzavano, un baluginio di punti luminosi davanti agli occhi e
madido di sudore freddo, il ragazzo arretrò di qualche passo, ricadendo a
sedere su una cassa, lasciando che la testa si poggiasse alla parete.
<< Se ti avvicini sei un uomo morto. >> sibilò facendo scattare la lama di
un coltello a serramanico estratto di tasca.
Ansimava come un mantice cercando disperatamente di non perdere i sensi
una seconda volta, con la fronte imperlata di sudore e un rivolo di sangue
che gli colava giù da una tempia.
L’altro lo guardò cercando di comprendere il motivo di una simile
reazione.
<< Senti, non so chi tu sia, ma posso giurarti che non avevo la minima
intenzione di fare di te uno spezzatino.TU, piuttosto! Che cavolo ti è
saltato in mente di arrivare qui dove gli studenti non dovrebbero avere
libero accesso, dopo che avevo chiesto e ottenuto dal rettore il permesso di
poter sperimentare degli esplosivi? >> Brian socchiuse gli occhi, lottando
per mantenersi lucido. << Hey, stai bene? Sei ferito, per gli Dei! Metti via
quella lama e lascia che ti dia un’occhiata: stai perdendo sangue. Mi
senti?>>
Il coltello cadde a terra con un rumore secco.
<< Sei certo di non voler passare in infermeria a farti visitare? >> chiese
l’uomo dopo aver disinfettato con cura il graffio sulla tempia di Brian.
<< Certissimo.>> rispose questi, disteso sul lettino della stanzetta in cui lo
sconosciuto l’aveva portato, riprendendo lentamente un po’ di colore.<<E’
già troppo quello che hai fatto, grazie. Ma da dove spunti, tu? Non mi
sembra di averti mai visto, qua in giro. >>
<< Mi chiamo Stylo >> si presentò l’uomo: un giovane tra i venticinque e
i trent’anni, alto e d corporatura solida, con i capelli chiari e una corta
barba a contornargli la bocca e il mento. << E se non mi hai mai visto, è
perché sono arrivato con l’ultima navetta. >>
<< Devi essere degli ultimi corsi, allora. Ma questo non mi spiega cosa ci
facessi nell’orto botanico a pasticciare con le bombe. Sei sicuro di non
essere un amico di Bomakov? >>
Stylo valutò con un’occhiata il ragazzo disteso sul lettino: diciotto,
diciannove anni al massimo, fisico perfettamente sviluppato, corti capelli
nerissimi, e un viso piacevole dai lineamenti regolari, se non fosse stato
per quell’espressione scontrosa stampata sopra.
<< Nemmeno lo conosco, questo tizio. Era tra quelli che sono scappati
quando ti hanno visto cadere? Perché ti inseguivano? >>
<< Difficile trovare qualcuno che non mi abbia mai inseguito, qua dentro:
darmi la caccia è uno sport nazionale. Strano che nessuno te l’abbia ancora
detto. >>
<< Che vuoi dire con questa strana risposta? Perché ce l’hanno con te? >>
<< Perché provengo da un pianeta affiliatosi solo di recente alla
Federazione Interplanetaria, così lontano che nessuno l’aveva nemmeno
mai sentito nominare, prima. Mi tormentano, mi deridono chiamandomi
contadino, cavernicolo e provinciale. >>
<< A sentirlo sembra assurdo. E tu non ti difendi? >>
Brian ridacchiò << Se inseguirmi è il loro sport, difendermi e sopravvivere
è diventato il mio hobby la mia arte. >>
<< Bel problema. E i prof? Hai provato a parlargliene? >>
<< Come no? Il primo anno non ho fatto altro che lamentarmi di come mi
trattassero gli altri, ma si sono sempre limitati a rimproverare blandamente
chi mi infastidiva, e col passare del tempo, i rimproveri si sono fatti
sempre più fiacchi. Un provinciale non merita la loro attenzione: deve
difendersi da solo. >>
<< Così vai in giro armato. Non pensi possa essere pericoloso? >>
<< Girare disarmato non sarebbe meno pericoloso. Sarebbe letale. >>
<< Sono sicuro che tu stia esagerando, ma il concetto è chiaro. >> replicò
Stylo, convinto che il ragazzo stesse ingigantendo una situazione di poca
importanza, probabilmente allo scopo di attrarre l’attenzione su di sé.
<< Stavo testando un paio di nuovi tipi di esplosivi al plastico per una mia
tesi – io adoro gli esplosivi, anche se molti la giudicano una passione
alquanto insana – e i vecchi capanni nell’orto si prestavano benissimo ai
miei esperimenti. Ma mi era stato assicurato che nessuno studente si
sarebbe potuto avvicinare, e anche gli inservienti sarebbero stati avvertiti
perché i tenessero alla larga. Sei stato anche fin troppo fortunato che quelle
grosse assi ti abbiano protetto da una pioggia di schegge.
<< Sei uno strano tipo, mi sa: preparare la tesi di congedo parlando di
esplosivi e facendo saltare le baracche, non mi sembra una grande idea. >>
fece Brian alzando un sopracciglio, sicuro di trovarsi di fronte ad uno
studente dell’ultimo anno. << Dov’eri, prima di venire qui? >>
<< Parecchio lontano. >> generalizzò Stylo. << Ma non mi trovavo affatto
bene, e ho chiesto di potermi trasferire su Ottol. Non mi sembra un brutto
posto. Tu sei qui da molto? Che te ne sembra? >>
La storia vi piace fino a ora?
Attenzione, attenzione, perchè presto potreste anche trovare una grossa sorpresa a riguardo.
Come una recensione, per esempio.
A presto, Viaggiatori!
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lunedì 28 gennaio 2013
lunedì 21 gennaio 2013
Fratelli dello Spazio Profondo - l'anteprima continua
Ed eccoci al secondo appuntamento con Erika Corvo e il suo Fratelli dello Spazio Profondo, di cui abbiamo il piacere di ospitare una lunga anteprima "a puntate": quest'oggi facciamo conoscenza col protagonista... Quindi fatevi avanti!
(per la prima parte, vi rimando al post precedente, sempre su Bastions of Illusion.
L’uomo aveva tutto l’aspetto dello spaziale a riposo di vecchio stampo, con la muscolatura e la pelle flaccida per effetto della forza di gravità, cui si era
disabituato durante gli anni di servizio a bordo di vascelli spaziali
<< Perfetto, per il progetto Hunter. >> rispose Krogg, risollevando con un
gesto della mano un ciuffo di capelli biondi che tendevano a ricadergli sul viso,
flaccidi e sbilenchi come tutto il resto. << E’ nel mio corso da quando è arrivato
qui, otto anni fa, e già da allora ha mostrato caratteristiche tali da essere
immediatamente segnalato a chi di dovere ed essere inserito nel progetto:
massima intelligenza, massimo impegno nello studio… Subito schernito da tutti
per via della sua provenienza; un pianeta minore appena affiliato, praticamente
sconosciuto. Non hanno mai smesso di deriderlo ed isolarlo; in barba ai suoi
magnifici risultati scolastici, o forse invidiosi di questi. Si è fatto notare subito
per il suo carattere rissoso e violento, indomabile. Reagisce con furia rabbiosa
ad ogni insulto e ad ogni provocazione, e da allora fa a botte quasi ogni giorno.
Non appena gli ufficiali federativi ci hanno comunicato la conferma al suo
inserimento al progetto, naturalmente, ci siamo adoperati affinché qualunque
studente si sentisse in diritto di sbeffeggiarlo apertamente, esasperando al
massimo grado le sue capacità di reazione e il suo istinto di sopravvivenza.
Ora come ora diffida di tutti, istintivamente. Se provocato diventa
violento e pericoloso, e se non ha ancora ucciso nessuno, probabilmente, è
solo perché ogni volta è stato fermato in tempo. Ma i federali sono
convinti che presto sarà maturo anche per l’omicidio. >>
<< Non ha mai sospettato di essere manovrato in qualche modo, e che certe
situazioni potessero essere state manipolate dall’alto? >> chiese Marvel,
l’insegnante grasso dai baffi spioventi.
<< E perché dovrebbe? Quando più di cinquecento allievi possono deriderti e
malmenarti impunemente e gli insegnanti non si scomodano più di tanto per
impedirlo, chiunque arriva a pensare di essere realmente un diverso, e che
cercare di ottenere il rispetto altrui tramite l’uso della violenza sia l’unica
soluzione possibile. >>
La navetta prese terra per la seconda volta, lasciando uscire un secondo gruppo
di ragazzini altrettanto spauriti dei primi.
Tra di questi spiccava per l’altezza un individuo dai capelli chiari, con una
grossa borsa come bagaglio a mano.
<< Hey, tu! Non sei un po’ cresciutello per il primo corso? >> gridò qualcuno
oltre la rete.
L’individuo si voltò lentamente. Non poteva essere un allievo. Portava un corto
pizzetto ben curato a contornargli bocca e mento, e non dimostrava meno di
venticinque, trent’anni.
<< Sei stato bocciato duecento volte? Devi proprio avercela dura, la zucca! >>
L’uomo non degnò di uno sguardo la piccola folla dall’altro lato della cinzione,
e ad un cenno del guidario incaricato, seguì il resto del gruppo fino ai cancelli
del minuscolo spazioporto.
<< Stai zitto, Bruno: è facile che quello sia un nuovo insegnante. >>
<< Naa, troppo giovane. Qui nessun docente ha meno di cinquant’anni, e poi
l’organico è già al completo. E’ più probabile che sia un guidario, e con quelli
si può scherzare lo stesso. >>
<< Fai un po’ come vuoi. Io, però, la tuo posto, sarei un po’ più prudente
finché non avrò visto il colore della divisa che indosserà. >>
<< Ci vorrà tutta l’estate allora. Sai anche tu che i nuovi arrivi giungono
qui al termine dell’anno, in modo che abbiano qualche settimana di tempo
per ambientarsi, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Non si ha più
molto tempo a disposizione, dopo. >>
<< E allora? >> fece l’altro allievo << Ci sono sempre tutti gli altri, se
proprio ti prudono le mani. Che bisogno hai di stuzzicare proprio
quello?>>
<< Forse hai ragione. Beh, qui lo spettacolo è finito >> concluse Bruno
guardando la navetta allontanarsi per la seconda volta dalla superficie del
pianeta. << Andiamo a cercare Black. >>
<< Sarà la solita preda, ma è pur sempre la migliore. >>
<< I nuovi allievi sono già qui da una settimana, e ancora non hanno
smesso di tormentare ME. >> pensò con disappunto Brian Black, uscendo
dalle docce della palestra, dove avevano luogo le gare estive delle varie
discipline sportive. << Sarà la solita storia anche quest’anno, temo: un
altro anno da incubo. >>
Giunto alla panca, scaraventò a terra l’asciugamano con un gesto di stizza,
costatando che la propria uniforme era scomparsa
<< Si ricomincia daccapo: un’altra brutta sorpresa. >>
Al posto della divisa, qualcuno aveva lasciato un rozzo paio di calzoni da
contadino e una camicia a quadrettoni di stoffa grezza e ruvida, sporchi di
strame di cavallo.
Dovevano averli sottratti di nascosto a qualcuno degli stallieri.
Brian si guardò intorno, aspettandosi di poter riconoscere dai sogghigni
più o meno palesi l’artefice dello scherzo.
Molti degli sguardi dei presenti erano fissi su di lui, ma solo quelli di
Bruno Bomakov e di un paio dei suo amici più fedeli rilucevano di gioia
maligna.
<< Allora? >> li apostrofò Black rimanendo immobile accanto alla panca,
nudo e gocciolante, sentendo montare in sé una gran rabbia per quella
interminabile sequenza di scherzi di pessimo gusto.
<< Allora, cosa? >> domandò di rimando Bomakov, beffardo.
<< I miei vestiti. Dove sono i miei vestiti?
<< E che vuoi che ne sappiamo, noi? >>
<< Perché, quelli non sono i tuoi? Eppure si addicono perfettamente ad un
provinciale come te… Dovresti provarli, sai? >>
<< Se non ti piacciono, puoi sempre scambiarli con quelli di qualche
novellino… ce ne sono tanti, non hai che da scegliere! >>
Parecchi tra i ragazzi più giovani presenti nello spogliatoio si affrettarono
a rivestirsi e a lasciare il locale temendo che il litigio tra i più grandi
potesse ritorcersi su di loro.
<< Posso scegliere? Benissimo, stronzo: voglio i tuoi, Bomakov. >>
<< Che? Non sono mica un novellino, io. >>
<< No? >> replicò Black inarcando un sopracciglio, avanzando verso il
giovane con atteggiamento minaccioso. << Eppure scommetto che
piangerai chiamando la mamma, quando ti avrò suonato a dovere. >>
Senza dargli il tempo di reagire, Black afferrò l’avversario per i corti
capelli scuri e, fattolo alzare con un violento strattone, lo colpì subito dopo
con un diretto allo stomaco. I due compagni di Bomakov scattarono
immediatamente all’impiedi cercando di afferrare il loro antagonista, ma i
corpo nudo di Black non offrì loro alcun appiglio.
Bastarono un paio di calci bene assestati a scaraventarli a terra dopo aver
fatto loro perdere l’equilibrio, facendoli scontrare dolorosamente contro un
paio di panche.
Il ragazzo trascinò allora Bomakov fino ai servizi, costringendolo ad
inginocchiarsi accanto ad uno dei water, infilandogli la testa all’interno, un
braccio torto dietro la schiena.
Il malcapitato si divincolò come una furia quando Brian azionò lo
sciacquone.
<< Da merda che sei non meriti altro. Peccato che tu sa troppo grosso per
infilarti tutto nel buco e vederti scomparire. >>
<< Lasciami, maledetto! La pagherai! Te lo giuro! >> gridò il ragazzo con
voce strozzata.
Black lo rialzò con uno strattone, e un violento diretto in pieno viso lo
mandò a sbattere contro una parete, sanguinando dalle labbra rotte.
Soddisfatto del suo operato, Brian tornò alle panche dove, impossessatosi
degli abiti del suo nemico, li infilò velocemente ed uscì dallo spogliatoio,
sbattendo la porta dietro di sé.
Caibo e Masquez rialzarono Bomakov, furioso e dolorante.
<< Questa me la pagherà cara, quel brutto contadino bastardo! Chiamiamo
anche gli altri e andiamo a cercarlo. >>
<< Armati? >>
<< No. Niente lame. Pugni e bastoni danno più soddisfazione. >>
Da una finestra in un corridoio del pianterreno, Black osservò sette giovani
domandare informazioni ad un ragazzo del terzo corso, il quale indicò la
direzione in cui si trovava. Uno dei sette era Bruno Bomakov.
Brian si appostò dietro la porta della stanza in cui si era nascosto in
previsione di un attacco in forze.
Non appena sentì un brusio di voci oltre l’uscio e vide la maniglia iniziare
ad abbassarsi, senza perdere tempo spalancò la porta con un formidabile
calcio, cogliendo di sorpresa almeno tre avversari, di cui due rotolarono a
terra perdendo sangue dal naso. Subito dopo si lanciò attraverso la finestra
aperta, rotolando sull’aiola fiorita al disotto di essa.
Gli inseguitori irruppero nella stanza e, trovandola vuota, si affacciarono
alla finestra.
Immediatamente furono bersagliati da un nutrito lancio di vasi di fiori,
scagliati da un Brian ben deciso a vendere cara la pelle. Subito dopo aver
esaurito i vasi disponibili, si diede alla fuga attraversando di corsa il cortile
dai vialetti inghiaiati.
Se la storia vi sta appassionando almeno quanto sta prendendo me, potete sempre correre a comprare i suoi libri!
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disabituato durante gli anni di servizio a bordo di vascelli spaziali
<< Perfetto, per il progetto Hunter. >> rispose Krogg, risollevando con un
gesto della mano un ciuffo di capelli biondi che tendevano a ricadergli sul viso,
flaccidi e sbilenchi come tutto il resto. << E’ nel mio corso da quando è arrivato
qui, otto anni fa, e già da allora ha mostrato caratteristiche tali da essere
immediatamente segnalato a chi di dovere ed essere inserito nel progetto:
massima intelligenza, massimo impegno nello studio… Subito schernito da tutti
per via della sua provenienza; un pianeta minore appena affiliato, praticamente
sconosciuto. Non hanno mai smesso di deriderlo ed isolarlo; in barba ai suoi
magnifici risultati scolastici, o forse invidiosi di questi. Si è fatto notare subito
per il suo carattere rissoso e violento, indomabile. Reagisce con furia rabbiosa
ad ogni insulto e ad ogni provocazione, e da allora fa a botte quasi ogni giorno.
Non appena gli ufficiali federativi ci hanno comunicato la conferma al suo
inserimento al progetto, naturalmente, ci siamo adoperati affinché qualunque
studente si sentisse in diritto di sbeffeggiarlo apertamente, esasperando al
massimo grado le sue capacità di reazione e il suo istinto di sopravvivenza.
Ora come ora diffida di tutti, istintivamente. Se provocato diventa
violento e pericoloso, e se non ha ancora ucciso nessuno, probabilmente, è
solo perché ogni volta è stato fermato in tempo. Ma i federali sono
convinti che presto sarà maturo anche per l’omicidio. >>
<< Non ha mai sospettato di essere manovrato in qualche modo, e che certe
situazioni potessero essere state manipolate dall’alto? >> chiese Marvel,
l’insegnante grasso dai baffi spioventi.
<< E perché dovrebbe? Quando più di cinquecento allievi possono deriderti e
malmenarti impunemente e gli insegnanti non si scomodano più di tanto per
impedirlo, chiunque arriva a pensare di essere realmente un diverso, e che
cercare di ottenere il rispetto altrui tramite l’uso della violenza sia l’unica
soluzione possibile. >>
La navetta prese terra per la seconda volta, lasciando uscire un secondo gruppo
di ragazzini altrettanto spauriti dei primi.
Tra di questi spiccava per l’altezza un individuo dai capelli chiari, con una
grossa borsa come bagaglio a mano.
<< Hey, tu! Non sei un po’ cresciutello per il primo corso? >> gridò qualcuno
oltre la rete.
L’individuo si voltò lentamente. Non poteva essere un allievo. Portava un corto
pizzetto ben curato a contornargli bocca e mento, e non dimostrava meno di
venticinque, trent’anni.
<< Sei stato bocciato duecento volte? Devi proprio avercela dura, la zucca! >>
L’uomo non degnò di uno sguardo la piccola folla dall’altro lato della cinzione,
e ad un cenno del guidario incaricato, seguì il resto del gruppo fino ai cancelli
del minuscolo spazioporto.
<< Stai zitto, Bruno: è facile che quello sia un nuovo insegnante. >>
<< Naa, troppo giovane. Qui nessun docente ha meno di cinquant’anni, e poi
l’organico è già al completo. E’ più probabile che sia un guidario, e con quelli
si può scherzare lo stesso. >>
<< Fai un po’ come vuoi. Io, però, la tuo posto, sarei un po’ più prudente
finché non avrò visto il colore della divisa che indosserà. >>
<< Ci vorrà tutta l’estate allora. Sai anche tu che i nuovi arrivi giungono
qui al termine dell’anno, in modo che abbiano qualche settimana di tempo
per ambientarsi, prima dell’inizio del nuovo anno scolastico. Non si ha più
molto tempo a disposizione, dopo. >>
<< E allora? >> fece l’altro allievo << Ci sono sempre tutti gli altri, se
proprio ti prudono le mani. Che bisogno hai di stuzzicare proprio
quello?>>
<< Forse hai ragione. Beh, qui lo spettacolo è finito >> concluse Bruno
guardando la navetta allontanarsi per la seconda volta dalla superficie del
pianeta. << Andiamo a cercare Black. >>
<< Sarà la solita preda, ma è pur sempre la migliore. >>
<< I nuovi allievi sono già qui da una settimana, e ancora non hanno
smesso di tormentare ME. >> pensò con disappunto Brian Black, uscendo
dalle docce della palestra, dove avevano luogo le gare estive delle varie
discipline sportive. << Sarà la solita storia anche quest’anno, temo: un
altro anno da incubo. >>
Giunto alla panca, scaraventò a terra l’asciugamano con un gesto di stizza,
costatando che la propria uniforme era scomparsa
<< Si ricomincia daccapo: un’altra brutta sorpresa. >>
Al posto della divisa, qualcuno aveva lasciato un rozzo paio di calzoni da
contadino e una camicia a quadrettoni di stoffa grezza e ruvida, sporchi di
strame di cavallo.
Dovevano averli sottratti di nascosto a qualcuno degli stallieri.
Brian si guardò intorno, aspettandosi di poter riconoscere dai sogghigni
più o meno palesi l’artefice dello scherzo.
Molti degli sguardi dei presenti erano fissi su di lui, ma solo quelli di
Bruno Bomakov e di un paio dei suo amici più fedeli rilucevano di gioia
maligna.
<< Allora? >> li apostrofò Black rimanendo immobile accanto alla panca,
nudo e gocciolante, sentendo montare in sé una gran rabbia per quella
interminabile sequenza di scherzi di pessimo gusto.
<< Allora, cosa? >> domandò di rimando Bomakov, beffardo.
<< I miei vestiti. Dove sono i miei vestiti?
<< E che vuoi che ne sappiamo, noi? >>
<< Perché, quelli non sono i tuoi? Eppure si addicono perfettamente ad un
provinciale come te… Dovresti provarli, sai? >>
<< Se non ti piacciono, puoi sempre scambiarli con quelli di qualche
novellino… ce ne sono tanti, non hai che da scegliere! >>
Parecchi tra i ragazzi più giovani presenti nello spogliatoio si affrettarono
a rivestirsi e a lasciare il locale temendo che il litigio tra i più grandi
potesse ritorcersi su di loro.
<< Posso scegliere? Benissimo, stronzo: voglio i tuoi, Bomakov. >>
<< Che? Non sono mica un novellino, io. >>
<< No? >> replicò Black inarcando un sopracciglio, avanzando verso il
giovane con atteggiamento minaccioso. << Eppure scommetto che
piangerai chiamando la mamma, quando ti avrò suonato a dovere. >>
Senza dargli il tempo di reagire, Black afferrò l’avversario per i corti
capelli scuri e, fattolo alzare con un violento strattone, lo colpì subito dopo
con un diretto allo stomaco. I due compagni di Bomakov scattarono
immediatamente all’impiedi cercando di afferrare il loro antagonista, ma i
corpo nudo di Black non offrì loro alcun appiglio.
Bastarono un paio di calci bene assestati a scaraventarli a terra dopo aver
fatto loro perdere l’equilibrio, facendoli scontrare dolorosamente contro un
paio di panche.
Il ragazzo trascinò allora Bomakov fino ai servizi, costringendolo ad
inginocchiarsi accanto ad uno dei water, infilandogli la testa all’interno, un
braccio torto dietro la schiena.
Il malcapitato si divincolò come una furia quando Brian azionò lo
sciacquone.
<< Da merda che sei non meriti altro. Peccato che tu sa troppo grosso per
infilarti tutto nel buco e vederti scomparire. >>
<< Lasciami, maledetto! La pagherai! Te lo giuro! >> gridò il ragazzo con
voce strozzata.
Black lo rialzò con uno strattone, e un violento diretto in pieno viso lo
mandò a sbattere contro una parete, sanguinando dalle labbra rotte.
Soddisfatto del suo operato, Brian tornò alle panche dove, impossessatosi
degli abiti del suo nemico, li infilò velocemente ed uscì dallo spogliatoio,
sbattendo la porta dietro di sé.
Caibo e Masquez rialzarono Bomakov, furioso e dolorante.
<< Questa me la pagherà cara, quel brutto contadino bastardo! Chiamiamo
anche gli altri e andiamo a cercarlo. >>
<< Armati? >>
<< No. Niente lame. Pugni e bastoni danno più soddisfazione. >>
Da una finestra in un corridoio del pianterreno, Black osservò sette giovani
domandare informazioni ad un ragazzo del terzo corso, il quale indicò la
direzione in cui si trovava. Uno dei sette era Bruno Bomakov.
Brian si appostò dietro la porta della stanza in cui si era nascosto in
previsione di un attacco in forze.
Non appena sentì un brusio di voci oltre l’uscio e vide la maniglia iniziare
ad abbassarsi, senza perdere tempo spalancò la porta con un formidabile
calcio, cogliendo di sorpresa almeno tre avversari, di cui due rotolarono a
terra perdendo sangue dal naso. Subito dopo si lanciò attraverso la finestra
aperta, rotolando sull’aiola fiorita al disotto di essa.
Gli inseguitori irruppero nella stanza e, trovandola vuota, si affacciarono
alla finestra.
Immediatamente furono bersagliati da un nutrito lancio di vasi di fiori,
scagliati da un Brian ben deciso a vendere cara la pelle. Subito dopo aver
esaurito i vasi disponibili, si diede alla fuga attraversando di corsa il cortile
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giovedì 17 gennaio 2013
Fratelli dello Spazio Profondo - Erika Corvo
Buongiorno a tutti i viaggiatori giusti ai Bastioni!
Oggi siamo pronti a continuare con un esperimento nuovo, che spero vi piacerà: inauguriamo l'inizio di una sorta di pubblicazione a puntate di una lunga anteprima, che ci terrà compagnia per i mesi a venire.
La gentilissima Erika Corvo si è prestata a questo esperimento e noi siamo felici di ospitarla qui con noi.
Ecco, prima di tutto, cos'ha voluto dirci di sè stessa...
Punta nel
vivo, gli porto uno dei miei lavori e li dico:"Mielosi? Bene, prova
questo. L'ho scritto io." Nonostante fossero 460 pagine scritte a mano,
l'ha letto tutto d'un fiato. Dopodiché mi ha regalato un vecchio computer che
teneva in montagna e mi ha detto: "Copialo e presentalo a qualcuno. Ne
vale la pena, è veramente bello."
Cominciamo dal principio, quindi...
Ossia da...
Capitolo primo
PIANETA OTTOL, COSTELLAZIONE CHIOMA DI BERENICE
ANNO 749 FEDERAL DOMINI
L’umidità del locale docce, deserto, si condensava sulle piastrelle bianche alle
pareti, rigandole come lacrime silenziose su di un viso stanco.
Il viso pallido e tirato del giovane Roe assomigliava alla parete, bagnato di
lacrime di rabbia e di dolore. Si era rinchiuso all’interno di uno dei box doccia e
seduto sul pavimento, rannicchiato, con la testa appoggiata all’angolo del muro
<< Non ce la faccio più >> mormorò, preparandosi a rendere definitiva la sua
decisione << Per sopravvivere qui dentro bisogna essere di pietra o avere
l’istinto di sopravvivenza di una belva feroce. Io non sono così. Mi rifiuto di
esserlo! >>
Lentamente si sfilò la cinghia dei pantaloni e ne allacciò un’estremità al tubo
della doccia umido e robusto. Salì sullo sgabello di servizio ed infilò la testa nel
cappio formato con la fibbia e la lunga striscia di cuoio.
Il suo cuore batteva all’impazzata cercando il coraggio necessario a rovesciare
lo sgabello.
<< Vaffanculo, Bomakov. Non ti darò la soddisfazione di picchiarmi ancora, e
l’inferno non può essere peggio di questo posto. >>
Scalciato via lo sgabello, Roe penzolò nel vuoto con il collo stretto in una
morsa. Un rantolo soffocato. Il cuore proseguì a battere veloce ancora per poco,
poi rallentò la sua corsa fino a fermarsi del tutto.
<< Che gli Dei ti òdino come ti odio io, Bomakov. >>
Con quest’ultimo pensiero rovente, la coscienza di Roe si dissolse nel buio
eterno.
La pista di atterraggio era ampia quanto un modesto campo sportivo all’interno
delle solide mura dal lungo percorso irregolare, confine invalicabile di un
piccolo microcosmo a sé stante.
Al pari di un gruppo di tifoseria durante un incontro sportivo, un folto pubblico
di giovani assisteva a quello che doveva essere lo spettacolo culminante
dell’intera annata.
Da una nave passeggeri rimasta in orbita attorno ad Ottol, era discesa una
navetta. Per effetto dei razzi frenanti e del cuscinetto d’aria, si adagiò
dolcemente sul sottile strato di ossido di alluminio che rivestiva l’ampia
porzione di terreno adibito all’atterraggio dei veicoli terra-spazio
Oltre la rete di protezione che delimitava il perimetro dello spazioporto, si levò
un coro di urla e di fischi non appena la navetta toccò il suolo, e i fischi
raddoppiarono di intensità allorché il portellone venne aperto e la passerella
calata.
Discese per primo un inserviente seguito da un gran numero di persone dall’aria
giovane e spaurita. Ognuno di loro portava con sé un grosso zaino sulla
schiena, o pesanti bagagli a mano. L’età media dei nuovi arrivati sembrava
essere, a parte qualche rara eccezione, tra gli otto e i tredici anni, ma ciò non
risparmiava loro battute pesanti da parte della schiera di ragazzi più grandi
assiepati al di là delle reti.
<< Guarda un po’che facce da scemi, quei pivelli! >>
<< Ti sei portato dietro il biberon, cocco di mamma? >>
<< Cosa c’è in quello zaino, faccia da fesso? L’orsacchiotto? >>
<< Hey, piscialletto, te li sei portati, i pannolini? >>
Risate e battute continuarono finché i frastornati ragazzini vennero condotti via
da un guidario in divisa azzurra, docili come agnelli ai suoi comandi. La
navetta richiuse il portello e con un getto dei razzi si mosse lentamente dal
suolo, per poi guizzare verso l’alto con una formidabile accelerazione.
<< Tra dieci minuti arriverà il secondo carico >> fece uno dei ragazzi dietro la
rete.
<< Quanti arrivi sono previsti, quest’anno? >> domandò agli amici un ragazzo
sui diciassette anni.
<< Almeno settanta elementi: tre classi nuove. Avremo molto da divertirci:
sembrano ingenui come verginelle candide! >>
<< Inventeremo scherzi nuovi. >>
<< Anche quelli vecchi vanno sempre bene: tanto, loro non li conoscono. >>
<< Così, anche quest’anno si è concluso >> sentenziò l’uomo dai capelli
inargentati, seduto su una antica e imponente poltroncina imbottita rivestita di
pelle bordeaux.
La luce dorata del tramonto si rifletteva dall’alta finestra rettangolare alle sue
spalle fino al massiccio tavolo in mogano scuro.
<< Non è stato un anno malvagio, rettore. Non sembra anche a voi? >> replicò
un uomo grasso dai lunghi baffi spioventi.
<< Una buona annata … già … Una buona annata. >> disse pronunciando
lentamente le sue parole, assaporandole come fossero vino pregiato.
<< Settanta ragazzi promossi, di cui la metà con un buon punteggio; dieci
respinti, un ritiro e due suicidi… Kidan e Roe. Peccato, soprattutto per Roe.
Kidan era uno smidollato. >> commentò giocherellando con le dita sul
bracciolo imbottito.
<< Non faceva parte di quel progetto federale…? >> lasciò in sospeso
un’anziana donna con i capelli acconciati a crocchia, seduta accanto al rettore.
<< Roe? Si, il giovane Roe. >> precisò questi << Era uno dei prescelti per il
progetto Hunter. Un soggetto promettente, ad onor del vero… Ma troppo
debole, evidentemente non ha retto alla pressione. L’hanno trovato questa
mattina impiccato nei bagni con la cinghia dei calzoni dell’uniforme…
forniamo cinghie molto robuste ai nostri allievi.>>
<< Quanti ne restano, ora? >>
<< Qui nel Complesso delle Scienze, su Ottol, professoressa Nield? Fide sta
lasciando or ora il pianeta, pronto per i suoi nuovi incarichi federali… Visto che
Roe ci ha lasciati in altra maniera, ne resta solo uno… l’allievo Black. Non è
del suo corso. >>
<< Che tipo è? >> domandò l’anziana donna.
L’uniforme dei docenti, grigia con le bande laterali verde e oro, era la stessa per
tutti gli insegnanti, indipendentemente dal loro sesso, ma la professoressa Nield
riusciva ad indossarla inamidata e abbottonata fino all’ultimo bottone del
colletto nonostante il caldo, come un abito da zitella castigata e bigotta.
Non basta un’uniforme a rendere uguali le persone: ognuno la indossava a
modo suo, con un effetto diverso. Quella del professor Krogg, insegnante di
navigazione, leggermente unticcia, aveva un bottone inserito nell’occhiello
sbagliato, che conferiva a tutto l’insieme un aspetto sbilenco e un’aria pallida e
gualcita come se si vergognasse di essere lì, indosso al suo proprietario.
Vi sta appassionando? Se la risposta è si, la soluzione è semplice: andare subito a comprare il suo libro, al link qui sotto! :D
Fratelli dello Spazio Profondo
Oggi siamo pronti a continuare con un esperimento nuovo, che spero vi piacerà: inauguriamo l'inizio di una sorta di pubblicazione a puntate di una lunga anteprima, che ci terrà compagnia per i mesi a venire.
La gentilissima Erika Corvo si è prestata a questo esperimento e noi siamo felici di ospitarla qui con noi.
Ecco, prima di tutto, cos'ha voluto dirci di sè stessa...
Piccola nota biografica:
Ho iniziato
leggendo i libri di mio padre perché non avevo nient'altro da fare. Quando ero
piccola, quasi non c'era neanche la tv, e i miei non mi permettevano di uscire
di casa. Ancor prima di andare alle elementari leggevo Salgari, Kipling, e gli
Urania. La fantascienza è stata il mio primo amore. Magari non capivo tutto, ma
sono cresciuta con quelli. Il mio unico modo di conoscere il mondo. Poi c'erano
Pirandello, Tomasi Di Lampedusa, Trilussa... Finiti i libri, leggevo anche i
foglietti illustrativi dei medicinali e gli ingredienti del Cioccorì. In due
lingue, perché in italiano era troppo facile e troppo veloce, e alla fine era
sempre quello.
Mi sono
sposata incinta per andarmene di casa, e soldi per comprare libri da leggere
non ce n'erano; dovevo pensare alla casa e al bimbo appena nato. Troppo povera
per qualsiasi cosa. Il marito era un poco di buono, e quando il mondo dove sei
non ti piace più, ne inventi un altro. Allora, i libri, ho iniziato a
scrivermeli da me. Il libro che avresti sempre voluto leggere e nessuno ha
ancora scritto. I primi erano solo esperimenti. Dal 1995 scrivo sul serio.
Attualmente ho nove racconti completi e altri tre in mente, pronti per essere
scritti.
Tante volte
mi hanno chiesto: "Ma perché non li fai pubblicare?"
Perché non
ho mai avuto i soldi per una macchina da scrivere, o per un computer, e gli
editori, quelli scritti a mano, non li vogliono. Io facevo fatica anche a
trovare i soldi per le biro e la carta, altro che computer!
Adesso sono
single, ho ancora con me una figlia da crescere e sopravviviamo col mio lavoro
part-time, faccio la badante presso la suocera di un architetto. Quest'ultimo,
un giorno, mi dice che non legge mai nessun libro scritto da donne, in quanto
li trova troppo sdolcinati, scontati e mielosi.
Cominciamo dal principio, quindi...
Ossia da...
FRATELLI DELLO SPAZIO
PROFONDO. SINOSSI.
E'
del 1997, il primo di una serie di quattro racconti di pirateria spaziale.
Potrebbe essere vagamente paragonabile a Guerre Stellari, ma non gli assomiglia
per niente. Dato che non ho mai sopportato la gente che scrive senza sapere
quello che dice, per realizzarlo ho dovuto farmi prestare i libri degli amici
di mio figlio. Chimica e fisica per le trovate geniali. Le biografie di Cesare,
Alessandro il Grande e Annibale per la strategia militare. Piero Angela per la
scienza dei viaggi a velocità luce, e vari altri. Mi sono infiltrata in una
crew di writers per descrivere i Loonies e il loro gergo.
Nessun
altro personaggio mi ha dato soddisfazioni quanto Brian Black.
Non
tanto perché scrivere, quando si parla di lui, è veramente divertente, ma
perché Brian non è un personaggio di sola azione: ha un cervello, ha un'anima,
si pone delle domande e talvolta è tormentato dal dubbio, si mette in gioco,
ricomincia tutto daccapo. E come tanti personaggi di carta, ha preso vita.
Tant'è che ogni tanto mi racconta qualcos'altro di lui, e ricomincio a
scrivere.
Capitolo primo
PIANETA OTTOL, COSTELLAZIONE CHIOMA DI BERENICE
ANNO 749 FEDERAL DOMINI
L’umidità del locale docce, deserto, si condensava sulle piastrelle bianche alle
pareti, rigandole come lacrime silenziose su di un viso stanco.
Il viso pallido e tirato del giovane Roe assomigliava alla parete, bagnato di
lacrime di rabbia e di dolore. Si era rinchiuso all’interno di uno dei box doccia e
seduto sul pavimento, rannicchiato, con la testa appoggiata all’angolo del muro
<< Non ce la faccio più >> mormorò, preparandosi a rendere definitiva la sua
decisione << Per sopravvivere qui dentro bisogna essere di pietra o avere
l’istinto di sopravvivenza di una belva feroce. Io non sono così. Mi rifiuto di
esserlo! >>
Lentamente si sfilò la cinghia dei pantaloni e ne allacciò un’estremità al tubo
della doccia umido e robusto. Salì sullo sgabello di servizio ed infilò la testa nel
cappio formato con la fibbia e la lunga striscia di cuoio.
Il suo cuore batteva all’impazzata cercando il coraggio necessario a rovesciare
lo sgabello.
<< Vaffanculo, Bomakov. Non ti darò la soddisfazione di picchiarmi ancora, e
l’inferno non può essere peggio di questo posto. >>
Scalciato via lo sgabello, Roe penzolò nel vuoto con il collo stretto in una
morsa. Un rantolo soffocato. Il cuore proseguì a battere veloce ancora per poco,
poi rallentò la sua corsa fino a fermarsi del tutto.
<< Che gli Dei ti òdino come ti odio io, Bomakov. >>
Con quest’ultimo pensiero rovente, la coscienza di Roe si dissolse nel buio
eterno.
La pista di atterraggio era ampia quanto un modesto campo sportivo all’interno
delle solide mura dal lungo percorso irregolare, confine invalicabile di un
piccolo microcosmo a sé stante.
Al pari di un gruppo di tifoseria durante un incontro sportivo, un folto pubblico
di giovani assisteva a quello che doveva essere lo spettacolo culminante
dell’intera annata.
Da una nave passeggeri rimasta in orbita attorno ad Ottol, era discesa una
navetta. Per effetto dei razzi frenanti e del cuscinetto d’aria, si adagiò
dolcemente sul sottile strato di ossido di alluminio che rivestiva l’ampia
porzione di terreno adibito all’atterraggio dei veicoli terra-spazio
Oltre la rete di protezione che delimitava il perimetro dello spazioporto, si levò
un coro di urla e di fischi non appena la navetta toccò il suolo, e i fischi
raddoppiarono di intensità allorché il portellone venne aperto e la passerella
calata.
Discese per primo un inserviente seguito da un gran numero di persone dall’aria
giovane e spaurita. Ognuno di loro portava con sé un grosso zaino sulla
schiena, o pesanti bagagli a mano. L’età media dei nuovi arrivati sembrava
essere, a parte qualche rara eccezione, tra gli otto e i tredici anni, ma ciò non
risparmiava loro battute pesanti da parte della schiera di ragazzi più grandi
assiepati al di là delle reti.
<< Guarda un po’che facce da scemi, quei pivelli! >>
<< Ti sei portato dietro il biberon, cocco di mamma? >>
<< Cosa c’è in quello zaino, faccia da fesso? L’orsacchiotto? >>
<< Hey, piscialletto, te li sei portati, i pannolini? >>
Risate e battute continuarono finché i frastornati ragazzini vennero condotti via
da un guidario in divisa azzurra, docili come agnelli ai suoi comandi. La
navetta richiuse il portello e con un getto dei razzi si mosse lentamente dal
suolo, per poi guizzare verso l’alto con una formidabile accelerazione.
<< Tra dieci minuti arriverà il secondo carico >> fece uno dei ragazzi dietro la
rete.
<< Quanti arrivi sono previsti, quest’anno? >> domandò agli amici un ragazzo
sui diciassette anni.
<< Almeno settanta elementi: tre classi nuove. Avremo molto da divertirci:
sembrano ingenui come verginelle candide! >>
<< Inventeremo scherzi nuovi. >>
<< Anche quelli vecchi vanno sempre bene: tanto, loro non li conoscono. >>
<< Così, anche quest’anno si è concluso >> sentenziò l’uomo dai capelli
inargentati, seduto su una antica e imponente poltroncina imbottita rivestita di
pelle bordeaux.
La luce dorata del tramonto si rifletteva dall’alta finestra rettangolare alle sue
spalle fino al massiccio tavolo in mogano scuro.
<< Non è stato un anno malvagio, rettore. Non sembra anche a voi? >> replicò
un uomo grasso dai lunghi baffi spioventi.
<< Una buona annata … già … Una buona annata. >> disse pronunciando
lentamente le sue parole, assaporandole come fossero vino pregiato.
<< Settanta ragazzi promossi, di cui la metà con un buon punteggio; dieci
respinti, un ritiro e due suicidi… Kidan e Roe. Peccato, soprattutto per Roe.
Kidan era uno smidollato. >> commentò giocherellando con le dita sul
bracciolo imbottito.
<< Non faceva parte di quel progetto federale…? >> lasciò in sospeso
un’anziana donna con i capelli acconciati a crocchia, seduta accanto al rettore.
<< Roe? Si, il giovane Roe. >> precisò questi << Era uno dei prescelti per il
progetto Hunter. Un soggetto promettente, ad onor del vero… Ma troppo
debole, evidentemente non ha retto alla pressione. L’hanno trovato questa
mattina impiccato nei bagni con la cinghia dei calzoni dell’uniforme…
forniamo cinghie molto robuste ai nostri allievi.>>
<< Quanti ne restano, ora? >>
<< Qui nel Complesso delle Scienze, su Ottol, professoressa Nield? Fide sta
lasciando or ora il pianeta, pronto per i suoi nuovi incarichi federali… Visto che
Roe ci ha lasciati in altra maniera, ne resta solo uno… l’allievo Black. Non è
del suo corso. >>
<< Che tipo è? >> domandò l’anziana donna.
L’uniforme dei docenti, grigia con le bande laterali verde e oro, era la stessa per
tutti gli insegnanti, indipendentemente dal loro sesso, ma la professoressa Nield
riusciva ad indossarla inamidata e abbottonata fino all’ultimo bottone del
colletto nonostante il caldo, come un abito da zitella castigata e bigotta.
Non basta un’uniforme a rendere uguali le persone: ognuno la indossava a
modo suo, con un effetto diverso. Quella del professor Krogg, insegnante di
navigazione, leggermente unticcia, aveva un bottone inserito nell’occhiello
sbagliato, che conferiva a tutto l’insieme un aspetto sbilenco e un’aria pallida e
gualcita come se si vergognasse di essere lì, indosso al suo proprietario.
Vi sta appassionando? Se la risposta è si, la soluzione è semplice: andare subito a comprare il suo libro, al link qui sotto! :D
Fratelli dello Spazio Profondo
venerdì 21 settembre 2012
Sun Fading
L’aria
puzzava ancora di sudore e carne bruciata.L’assalto
era terminato da poco e sulla Lost Star erano già in corso le
riparazioni dello scafo e delle camere interne danneggiate
dall’intrusione dei soldati nemici all’interno della nave. Shak
guardò fuori dalla vetrata lungo uno dei corridoi esterni della nave
verso i rottami di quella che una volta era una nave di pirati o di
una qualche piccola fazione di briganti o ribelli locali.
Erano passati appena pochi giorni dalla sua ultima battaglia, al largo del pianeta Elen, nell’omonimo sistema e ancora non riusciva a farci l’abitudine.Non combatteva per piacere o perché, essendo un mutato, un umano geneticamente modificato per ottenere una specie di super-soldato, era stato progettato per farlo... No.
Per lui era come una droga, un dolce momento d’estasi nel quale si lasciava andare e faceva vagare la sua mente e le sue armi confuse in un turbinio tra il frastuono dei fucili automatici e le urla dei morenti; in qualche modo si sentiva vivo solo quando i suoi occhi del colore dell’oro liquido si posavano sul suo prossimo bersaglio nel momento in cui questo si rendeva conto del pericolo e capiva che era comunque troppo tardi...
Eppure ogni volta che quell’estasi finiva gli lasciava un sapore amaro in bocca, un senso di incompletezza, come se tutto questo, alla fine, non avesse senso. Shak aveva sempre visto il campo di battaglia come una gara alla sopravvivenza e sopravvivere aveva spesso il caro ma esaltante prezzo di dover guardare in faccia la morte, rendendosi conto, spesso troppo tardi, che molti al contrario di lui non avevano retto a quello sguardo e avevano ceduto il loro corpo alle pallottole di un fucile.
Ai resti sul campo di battaglia si stavano lentamente avvicinando delle piccole luci. Erano iniziate le operazioni di recupero di materiale dai rottami della nave distrutta. Il capitano della Lost Star ci teneva sempre a ripulire le sue vittime fino in fondo.
Shak si diede una sistemata alla mimetica grigia macchiata di sangue rappreso, sospirò. Non avrebbe davvero mai fatto l’abitudine alla sensazione di vuoto dopo aver strappato molte vite dai loro corpi. Notó nuove macchie rosse e, contemporaneamente sentí una strana sensazione, come un caldo torpore che saliva dall´addome.
Ebbe l’impressione che tutto si facesse più pesante. Il fucile di fabbricazione imperiale nella sua mano, la sua collana recante il simbolo sacro di una divinità della quale non ricordava il nome, il suo giubbotto antiproiettili, le sue palpebre...
Forse non gli importava davvero piú nulla...
“Alla fine” – pensó – “anche i soli muoiono...”
Erano passati appena pochi giorni dalla sua ultima battaglia, al largo del pianeta Elen, nell’omonimo sistema e ancora non riusciva a farci l’abitudine.Non combatteva per piacere o perché, essendo un mutato, un umano geneticamente modificato per ottenere una specie di super-soldato, era stato progettato per farlo... No.
Per lui era come una droga, un dolce momento d’estasi nel quale si lasciava andare e faceva vagare la sua mente e le sue armi confuse in un turbinio tra il frastuono dei fucili automatici e le urla dei morenti; in qualche modo si sentiva vivo solo quando i suoi occhi del colore dell’oro liquido si posavano sul suo prossimo bersaglio nel momento in cui questo si rendeva conto del pericolo e capiva che era comunque troppo tardi...
Eppure ogni volta che quell’estasi finiva gli lasciava un sapore amaro in bocca, un senso di incompletezza, come se tutto questo, alla fine, non avesse senso. Shak aveva sempre visto il campo di battaglia come una gara alla sopravvivenza e sopravvivere aveva spesso il caro ma esaltante prezzo di dover guardare in faccia la morte, rendendosi conto, spesso troppo tardi, che molti al contrario di lui non avevano retto a quello sguardo e avevano ceduto il loro corpo alle pallottole di un fucile.
Ai resti sul campo di battaglia si stavano lentamente avvicinando delle piccole luci. Erano iniziate le operazioni di recupero di materiale dai rottami della nave distrutta. Il capitano della Lost Star ci teneva sempre a ripulire le sue vittime fino in fondo.
Shak si diede una sistemata alla mimetica grigia macchiata di sangue rappreso, sospirò. Non avrebbe davvero mai fatto l’abitudine alla sensazione di vuoto dopo aver strappato molte vite dai loro corpi. Notó nuove macchie rosse e, contemporaneamente sentí una strana sensazione, come un caldo torpore che saliva dall´addome.
Ebbe l’impressione che tutto si facesse più pesante. Il fucile di fabbricazione imperiale nella sua mano, la sua collana recante il simbolo sacro di una divinità della quale non ricordava il nome, il suo giubbotto antiproiettili, le sue palpebre...
Forse non gli importava davvero piú nulla...
“Alla fine” – pensó – “anche i soli muoiono...”
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