Oggi siamo pronti a continuare con un esperimento nuovo, che spero vi piacerà: inauguriamo l'inizio di una sorta di pubblicazione a puntate di una lunga anteprima, che ci terrà compagnia per i mesi a venire.
La gentilissima Erika Corvo si è prestata a questo esperimento e noi siamo felici di ospitarla qui con noi.
Ecco, prima di tutto, cos'ha voluto dirci di sè stessa...
Piccola nota biografica:
Ho iniziato
leggendo i libri di mio padre perché non avevo nient'altro da fare. Quando ero
piccola, quasi non c'era neanche la tv, e i miei non mi permettevano di uscire
di casa. Ancor prima di andare alle elementari leggevo Salgari, Kipling, e gli
Urania. La fantascienza è stata il mio primo amore. Magari non capivo tutto, ma
sono cresciuta con quelli. Il mio unico modo di conoscere il mondo. Poi c'erano
Pirandello, Tomasi Di Lampedusa, Trilussa... Finiti i libri, leggevo anche i
foglietti illustrativi dei medicinali e gli ingredienti del Cioccorì. In due
lingue, perché in italiano era troppo facile e troppo veloce, e alla fine era
sempre quello.
Mi sono
sposata incinta per andarmene di casa, e soldi per comprare libri da leggere
non ce n'erano; dovevo pensare alla casa e al bimbo appena nato. Troppo povera
per qualsiasi cosa. Il marito era un poco di buono, e quando il mondo dove sei
non ti piace più, ne inventi un altro. Allora, i libri, ho iniziato a
scrivermeli da me. Il libro che avresti sempre voluto leggere e nessuno ha
ancora scritto. I primi erano solo esperimenti. Dal 1995 scrivo sul serio.
Attualmente ho nove racconti completi e altri tre in mente, pronti per essere
scritti.
Tante volte
mi hanno chiesto: "Ma perché non li fai pubblicare?"
Perché non
ho mai avuto i soldi per una macchina da scrivere, o per un computer, e gli
editori, quelli scritti a mano, non li vogliono. Io facevo fatica anche a
trovare i soldi per le biro e la carta, altro che computer!
Adesso sono
single, ho ancora con me una figlia da crescere e sopravviviamo col mio lavoro
part-time, faccio la badante presso la suocera di un architetto. Quest'ultimo,
un giorno, mi dice che non legge mai nessun libro scritto da donne, in quanto
li trova troppo sdolcinati, scontati e mielosi.
Cominciamo dal principio, quindi...
Ossia da...
FRATELLI DELLO SPAZIO
PROFONDO. SINOSSI.
E'
del 1997, il primo di una serie di quattro racconti di pirateria spaziale.
Potrebbe essere vagamente paragonabile a Guerre Stellari, ma non gli assomiglia
per niente. Dato che non ho mai sopportato la gente che scrive senza sapere
quello che dice, per realizzarlo ho dovuto farmi prestare i libri degli amici
di mio figlio. Chimica e fisica per le trovate geniali. Le biografie di Cesare,
Alessandro il Grande e Annibale per la strategia militare. Piero Angela per la
scienza dei viaggi a velocità luce, e vari altri. Mi sono infiltrata in una
crew di writers per descrivere i Loonies e il loro gergo.
Nessun
altro personaggio mi ha dato soddisfazioni quanto Brian Black.
Non
tanto perché scrivere, quando si parla di lui, è veramente divertente, ma
perché Brian non è un personaggio di sola azione: ha un cervello, ha un'anima,
si pone delle domande e talvolta è tormentato dal dubbio, si mette in gioco,
ricomincia tutto daccapo. E come tanti personaggi di carta, ha preso vita.
Tant'è che ogni tanto mi racconta qualcos'altro di lui, e ricomincio a
scrivere.
Capitolo primo
PIANETA OTTOL, COSTELLAZIONE CHIOMA DI BERENICE
ANNO 749 FEDERAL DOMINI
L’umidità del locale docce, deserto, si condensava sulle piastrelle bianche alle
pareti, rigandole come lacrime silenziose su di un viso stanco.
Il viso pallido e tirato del giovane Roe assomigliava alla parete, bagnato di
lacrime di rabbia e di dolore. Si era rinchiuso all’interno di uno dei box doccia e
seduto sul pavimento, rannicchiato, con la testa appoggiata all’angolo del muro
<< Non ce la faccio più >> mormorò, preparandosi a rendere definitiva la sua
decisione << Per sopravvivere qui dentro bisogna essere di pietra o avere
l’istinto di sopravvivenza di una belva feroce. Io non sono così. Mi rifiuto di
esserlo! >>
Lentamente si sfilò la cinghia dei pantaloni e ne allacciò un’estremità al tubo
della doccia umido e robusto. Salì sullo sgabello di servizio ed infilò la testa nel
cappio formato con la fibbia e la lunga striscia di cuoio.
Il suo cuore batteva all’impazzata cercando il coraggio necessario a rovesciare
lo sgabello.
<< Vaffanculo, Bomakov. Non ti darò la soddisfazione di picchiarmi ancora, e
l’inferno non può essere peggio di questo posto. >>
Scalciato via lo sgabello, Roe penzolò nel vuoto con il collo stretto in una
morsa. Un rantolo soffocato. Il cuore proseguì a battere veloce ancora per poco,
poi rallentò la sua corsa fino a fermarsi del tutto.
<< Che gli Dei ti òdino come ti odio io, Bomakov. >>
Con quest’ultimo pensiero rovente, la coscienza di Roe si dissolse nel buio
eterno.
La pista di atterraggio era ampia quanto un modesto campo sportivo all’interno
delle solide mura dal lungo percorso irregolare, confine invalicabile di un
piccolo microcosmo a sé stante.
Al pari di un gruppo di tifoseria durante un incontro sportivo, un folto pubblico
di giovani assisteva a quello che doveva essere lo spettacolo culminante
dell’intera annata.
Da una nave passeggeri rimasta in orbita attorno ad Ottol, era discesa una
navetta. Per effetto dei razzi frenanti e del cuscinetto d’aria, si adagiò
dolcemente sul sottile strato di ossido di alluminio che rivestiva l’ampia
porzione di terreno adibito all’atterraggio dei veicoli terra-spazio
Oltre la rete di protezione che delimitava il perimetro dello spazioporto, si levò
un coro di urla e di fischi non appena la navetta toccò il suolo, e i fischi
raddoppiarono di intensità allorché il portellone venne aperto e la passerella
calata.
Discese per primo un inserviente seguito da un gran numero di persone dall’aria
giovane e spaurita. Ognuno di loro portava con sé un grosso zaino sulla
schiena, o pesanti bagagli a mano. L’età media dei nuovi arrivati sembrava
essere, a parte qualche rara eccezione, tra gli otto e i tredici anni, ma ciò non
risparmiava loro battute pesanti da parte della schiera di ragazzi più grandi
assiepati al di là delle reti.
<< Guarda un po’che facce da scemi, quei pivelli! >>
<< Ti sei portato dietro il biberon, cocco di mamma? >>
<< Cosa c’è in quello zaino, faccia da fesso? L’orsacchiotto? >>
<< Hey, piscialletto, te li sei portati, i pannolini? >>
Risate e battute continuarono finché i frastornati ragazzini vennero condotti via
da un guidario in divisa azzurra, docili come agnelli ai suoi comandi. La
navetta richiuse il portello e con un getto dei razzi si mosse lentamente dal
suolo, per poi guizzare verso l’alto con una formidabile accelerazione.
<< Tra dieci minuti arriverà il secondo carico >> fece uno dei ragazzi dietro la
rete.
<< Quanti arrivi sono previsti, quest’anno? >> domandò agli amici un ragazzo
sui diciassette anni.
<< Almeno settanta elementi: tre classi nuove. Avremo molto da divertirci:
sembrano ingenui come verginelle candide! >>
<< Inventeremo scherzi nuovi. >>
<< Anche quelli vecchi vanno sempre bene: tanto, loro non li conoscono. >>
<< Così, anche quest’anno si è concluso >> sentenziò l’uomo dai capelli
inargentati, seduto su una antica e imponente poltroncina imbottita rivestita di
pelle bordeaux.
La luce dorata del tramonto si rifletteva dall’alta finestra rettangolare alle sue
spalle fino al massiccio tavolo in mogano scuro.
<< Non è stato un anno malvagio, rettore. Non sembra anche a voi? >> replicò
un uomo grasso dai lunghi baffi spioventi.
<< Una buona annata … già … Una buona annata. >> disse pronunciando
lentamente le sue parole, assaporandole come fossero vino pregiato.
<< Settanta ragazzi promossi, di cui la metà con un buon punteggio; dieci
respinti, un ritiro e due suicidi… Kidan e Roe. Peccato, soprattutto per Roe.
Kidan era uno smidollato. >> commentò giocherellando con le dita sul
bracciolo imbottito.
<< Non faceva parte di quel progetto federale…? >> lasciò in sospeso
un’anziana donna con i capelli acconciati a crocchia, seduta accanto al rettore.
<< Roe? Si, il giovane Roe. >> precisò questi << Era uno dei prescelti per il
progetto Hunter. Un soggetto promettente, ad onor del vero… Ma troppo
debole, evidentemente non ha retto alla pressione. L’hanno trovato questa
mattina impiccato nei bagni con la cinghia dei calzoni dell’uniforme…
forniamo cinghie molto robuste ai nostri allievi.>>
<< Quanti ne restano, ora? >>
<< Qui nel Complesso delle Scienze, su Ottol, professoressa Nield? Fide sta
lasciando or ora il pianeta, pronto per i suoi nuovi incarichi federali… Visto che
Roe ci ha lasciati in altra maniera, ne resta solo uno… l’allievo Black. Non è
del suo corso. >>
<< Che tipo è? >> domandò l’anziana donna.
L’uniforme dei docenti, grigia con le bande laterali verde e oro, era la stessa per
tutti gli insegnanti, indipendentemente dal loro sesso, ma la professoressa Nield
riusciva ad indossarla inamidata e abbottonata fino all’ultimo bottone del
colletto nonostante il caldo, come un abito da zitella castigata e bigotta.
Non basta un’uniforme a rendere uguali le persone: ognuno la indossava a
modo suo, con un effetto diverso. Quella del professor Krogg, insegnante di
navigazione, leggermente unticcia, aveva un bottone inserito nell’occhiello
sbagliato, che conferiva a tutto l’insieme un aspetto sbilenco e un’aria pallida e
gualcita come se si vergognasse di essere lì, indosso al suo proprietario.
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Fratelli dello Spazio Profondo
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