Cari naufraghi giunti sui bastioni, siamo finalmente rimontati in sella, pronti per riprendere il viaggio, e proseguire l'avvincente romanzo di Erika!
Vorrei anche cogliere l'occasione per ricordarvi che siamo ormai agli sgoccioli per quanto riguarda la settimana della lettura: avete ancora pochi giorni per scoprire tutti i titoli in offerta su amazon a 1 euro!
Fate un salto a questo link:
Settimana della Lettura
Ma ora torniamo nello spazio!
Le quattro settimane di vacanze estive terminarono fin troppo in fretta. Ora
i nostri ritmi di vita sarebbero cambiati in modo radicale.
I nuovi arrivati – me compreso – avevano avuto il tempo per ambientarsi e
allacciare nuove amicizie, ed ora era il momento di dedicarsi alle cose
serie. Nei tre giorni precedenti all’inizio delle lezioni mi diedi parecchio da
fare con la definizione degli ultimi dettagli del programma che avrei
seguito.
Ma il mio chiodo fisso era il domandarmi quale tipo di atteggiamento
avrei dovuto tenere nei confronti dell’allievo più difficile e nel contempo
più promettente della scuola: Brian Black.
Sapevo già che mantenere la dovuta imparzialità nei suoi confronti sarebbe
stato un ingrato compito: tutti sapevano che ci frequentassimo e che
fossimo amici. Prendere apertamente le sue parti avrebbe in ogni caso
peggiorato ancora di più la sua situazione: l’avrebbero preso di mira come
“cocco del Devaj prof”, ed io avrei perso tutta la mia credibilità di fronte
agli altri allievi, prima ancora di essere riuscito a guadagnarmela.
<< Non voglio nessun favoritismo, Stylo. >> aveva chiarito subito Brian
un pomeriggio in cui gli avevo accennato il problema. << So difendermi
da solo, e sai bene che qualunque cosa tu farai o dirai in mio favore si
rivolterà contro di noi. Tanto, è una vita che sopporto i loro scherzi: posso
sopportare ancora. >>
Ma se lui sapeva bene cosa aspettarsi dagli allievi del suo corso, io, invece,
non lo sapevo, e la cosa mi innervosiva parecchio. Non era quello il modo
in cui avrei voluto iniziare l’anno scolastico.
Al mio ingresso in aula avevo trentacinque paia di occhi puntati su di me,
di cui trentaquattro ostili.
Iniziai con l’appello, tanto per familiarizzare con i nomi di tutti i presenti,
anche se conoscevo già, almeno di vista, la maggior parte di essi.
<< Non illudetevi che un professore giovane possa avere meno autorità di
uno anziano, ragazzi. >> fu la prima cosa che dissi, consapevole dell’età
media dei docenti a cui fossero abituati gli allievi. << Ragion per cui,
cercate di non alzare troppo la cresta o farò in modo di tagliarvela subito.
Inizieremo questa lezione con un breve ripasso delle ultime dello scorso
anno, giusto per farmi un’idea del vostro livello di preparazione. >>
Feci qualche domanda a casaccio, tanto per iniziare da qualche parte.
<< Ramirez, la velocità della luce... sai dirmi quale sia, esattamente? >>
<< 299.792,501 chilometri al secondo, Devaj prof. >>
<< Giusto. Secondo gli effetti della dilatazione del tempo dovuta agli
effetti della velocità, se un’astronave viaggiasse soltanto ad un centimetro
e mezzo in meno della velocità della luce,quali sarebbero le discrepanze
cronologiche tra la nave e il campo base? >>
<< Che al campo base trascorrerebbero mille anni mentre il tempo
trascorso sulla nave sarebbe solo di tre giorni e mezzo. >>
<< Ottimo, Ramirez. Gauthier, e se la velocità fosse di soli quattro metri
al secondo inferiore a quella della luce? >>
<< Trascorrerebbero due mesi a bordo della nave, contro i mille anni del
campo base. >>
<< Caibo, cos’è, il tempo, in parole povere? >>
<< Il tempo è un concetto misurabile, intimamente legato al concetto di
spazio, creato dalla curvatura prodotta dal Big Bang. >>
<< Benissimo. Dovrebbe essere già chiaro per tutti, dunque, che prima del
Big Bang non esisteva il tempo, e non esisteva nemmeno lo spazio. Queste
cose dobbiamo saperle perché se la maggior parte di voi, probabilmente,
viaggerà su e giù per la galassia un numero relativamente limitato di volte,
alcuni di voi, invece, guideranno a tempo pieno navi adatte al volo
nell’iperspazio, nel settore commerciale o in quello militare.
So che immaginare il “nulla” è molto difficile, perché alla parola “nulla”,
noi immaginiamo istintivamente un grande spazio vuoto. Prima del Big
Bang, invece, non c’era neanche il vuoto. E’ stata l’espansione a creare lo
spazio; anzi, lo spazio-tempo, assieme ad una grande nuvola di materia. In
questa nuvola, gli atomi iniziarono ad attrarsi tra loro in base alla legge
della fisica che lo stesso Big Bang aveva creato. A quel punto iniziarono a
crearsi nello spazio delle condensazioni di atomi, delle nuvolette più
concentrate che non sarebbero altro che le antenate delle galassie. Cosa
succede a questo punto, Black? >>
<< Che all’interno delle galassie si verificò un processo analogo, creando
dei punti di maggiore concentrazione sempre più densi e compatti, cioè le
stelle >> rispose brillantemente Brian << palle di gas su cui gli atomi
continuarono a piovere per attrazione gravitazionale, sottoponendo gli
atomi più interni ad una pressione sempre più grande, con un conseguente
aumento della temperatura.>>
<< Oh, a proposito, Black: qual era la temperatura al momento del Big
Bang? >>
<< Probabilmente oltre i cento milioni di gradi, ma non è un valore
esattamente calcolabile, perché si arriva ad una temperatura pressoché
infinita racchiusa in una iper-sfera di raggio nullo, Devaj prof. >>
<< Esposizione ineccepibile. Ma torniamo alle stelle. Bomakov, cosa
succede all’interno di queste sfere gassose quando la loro temperatura
interna oltrepassa un certo livello? >>
<< Qualora la temperatura superi i dieci milioni di gradi, gli atomi interni
di idrogeno, super caldi e super compressi, fondono. Una fusione nucleare
in cui gli atomi di idrogeno, compenetrando le loro particelle subatomiche,
si trasformano in atomi di elio, liberando una gran quantità di energia. >>
<< Ti ringrazio, Bomakov. Perciò la luce visibile di qualunque sole, altro
non è che il bagliore prodotto dal processo di fusione di una serie
ininterrotta di esplosioni nucleari che inviano radiazioni tutt’intorno, sotto
forma di luce, calore, e radiazioni di vario tipo. Alcune di esse, filtrate
dall’atmosfera dei pianeti su cui giungono, sono innocue; altre, invece,
possono essere nocive. In certi pianeti può essere molto pericoloso esporsi
troppo al sole. A lungo andare, gli effetti di queste radiazioni possono
provocare il cancro e certi tumori della pelle, specialmente in coloro che
svolgono attività costantemente all’aperto, come contadini, pescatori... >>
<< Black, a casa saranno già tutti morti, allora... >> ridacchiò, acida, la
voce di Bomakov.
Brian, nel banco avanti a quello di Bruno Bomakov, si girò in una frazione
di secondo punendo l’insolenza del compagno con un violento destro in
pieno viso. Balzò in ginocchio sul banco e, afferrato lo sciagurato per il
bavero, gli sputò in faccia. Caibo e Masquez, i due angeli custodi di
Bomakov, furono immediatamente addosso a Black, subito imitati da altri
tre compagni, dando il via a quella che se non avessi fermato subito,
sarebbe degenerata in una rissa generale.
<< Tutti fermi! Ho detto tutti fermi, ragazzi! >> gridai con quanto fiato
avessi, ma nessuno parve ascoltarmi.
Senza altri indugi, afferrai la mia sedia e la sfasciai con gran fracasso sul
banco vuoto di Brian, agguantandolo subito dopo dal groviglio di corpi che
a quel rumore si erano fermati di colpo, rimettendolo seduto al suo posto.
Per questa settimana, è tutto!
E, come sempre, vi invito ad acquistare i libri della bravissima Erika Corvo.
Erika Corvo su Amazon
venerdì 22 marzo 2013
mercoledì 13 marzo 2013
DEATHDOC by Eugenia Guerrieri - continua la visita al cimitero
Dopo lunga assenza, ritorniamo a raccontare allegre storie di morti insieme a Eugenia e al suo DEATHDOC: vi era mancato? A me un po' si.
Non c'è niente di meglio che scherzare sui cimiteri quando fuori piove...
REQUIEM AETERNAM
Adesso gli infermieri chiamano anche noi della Requiem Aeternam.
Gli affari ci vanno benissimo, anche grazie al mio fascino: le signore ap-prezzano molto il bell'uomo bruno con gli occhi verdi che da dentro rivolge loro un sorriso, al punto da spingerle ad entrare a "dare un'occhiata", per poi uscire con il catalogo in mano e la promessa di chiamare senz'altro noi in ca-so di lutto in famiglia.
In questo modo, tra la ditta di pompe funebri e il mio lavoro di custode del cimitero, se con il tempo fossi riuscito a sbaragliare la concorrenza, mi sarei assicurato il "monopolio della morte" di Velletri.
Un carro funebre recante il nostro logo sugli sportelli (il Caduceo, vale a dire il bastone alato con due serpenti attorcigliati attorno al manico, simbo-lo della Medicina, incastrato su un teschio con le tibie) è fermo sulla curva, in salita.
Ha una gomma a terra e il conducente è sceso borbottando una sfilza di imprecazioni, lasciando lo sportello spalancato. Diversi motorini, per evita-re di spiaccicarcisi contro, hanno dovuto scartare bruscamente invadendo la corsia opposta.
«Si può sapere cosa accidenti fai fermo così, in mezzo alla strada, con lo sportello aperto?» lo apostrofo in tono di aperto rimprovero, mentre l'enne-simo motorino è costretto a compiere la pericolosa manovra e il conducen-te, tanto per restare in tema, ci dice i morti.
«Cambio la gomma, ho bucato. Che sfiga» dice laconico, senza alzare lo sguardo.
«Ma tu pensa! Per un attimo ho creduto che volessi provocare un inci-dente e prenderti subito il morto... perché non apri anche il portellone po-steriore? Così il prossimo ci finisce direttamente dentro!»
Lui ride, naturalmente; ma non mi sembra di aver fatto una battuta. An-zi, non sono mai stato così serio. Si lascia lo sportello aperto in curva?! Gli affari sono affari, d'accordo, ma così diventa tentato omicidio.
Mi tolgo la giacca: «Ti aiuto io, ma chiudi questa portiera!»
«Scusatemi» dice una vecchietta esile e piccolina, fermandosi e interpel-lando proprio noi che cambiamo la gomma al carro funebre «come arrivo al cimitero?»
Prima che possa risponderle, l'autista interviene subito, pronto: «Salga, signo', che la porto io!»
Uh-uh, che delicatezza d'animo!, penso. Cosa faccio, lo licenzio in tronco per la scortesia oppure gli aumento lo stipendio per l'originalità della battuta? Non è che i miei necrofori, al cimitero, siano meglio di lui... anzi, sono addirittura più rozzi.
«Non c'è un autobus che ci arriva?», insiste l'anziana. Forse non ha capi-to la battuta, forse fa solo finta.
«Sì, c'è.»
«E dove lo devo prendere?»
«In pieno, signo'!»
E due... ma questo qui ha un senso dello humour più macabro del mio! Pe-rò non posso trattenermi dal ridacchiare, senza che la nonnina se ne accor-ga. «Parte dalla stazione», la informo educatamente. «Ce n'è uno ogni venti minuti e si ferma davanti l'ingresso principale del cimitero.»
«Siete gentilissimi!» ci ringrazia, prima di trotterellare via con un passo insolitamente svelto per un vecchina della sua età.
Ovviamente noi siamo sempre gentili con la potenziale clientela.
«È sicura di non volere un passaggio, signora?», le grida dietro il condu-cente del carro funebre. «Può mettersi comoda, addirittura distesa!»
«Smettila, che me la spaventi!» lo rimprovero senza convinzione. Scam-biamo uno sguardo di intesa e un sorriso.
Questa è altre storie le potete comodamente leggere a casa, sul divano, col vostro gatto in braccio.
Basta fare un salto a:
DEATHDOC
e accaparrarvi il libro completo! :D
Non c'è niente di meglio che scherzare sui cimiteri quando fuori piove...
REQUIEM AETERNAM
Adesso gli infermieri chiamano anche noi della Requiem Aeternam.
Gli affari ci vanno benissimo, anche grazie al mio fascino: le signore ap-prezzano molto il bell'uomo bruno con gli occhi verdi che da dentro rivolge loro un sorriso, al punto da spingerle ad entrare a "dare un'occhiata", per poi uscire con il catalogo in mano e la promessa di chiamare senz'altro noi in ca-so di lutto in famiglia.
In questo modo, tra la ditta di pompe funebri e il mio lavoro di custode del cimitero, se con il tempo fossi riuscito a sbaragliare la concorrenza, mi sarei assicurato il "monopolio della morte" di Velletri.
Un carro funebre recante il nostro logo sugli sportelli (il Caduceo, vale a dire il bastone alato con due serpenti attorcigliati attorno al manico, simbo-lo della Medicina, incastrato su un teschio con le tibie) è fermo sulla curva, in salita.
Ha una gomma a terra e il conducente è sceso borbottando una sfilza di imprecazioni, lasciando lo sportello spalancato. Diversi motorini, per evita-re di spiaccicarcisi contro, hanno dovuto scartare bruscamente invadendo la corsia opposta.
«Si può sapere cosa accidenti fai fermo così, in mezzo alla strada, con lo sportello aperto?» lo apostrofo in tono di aperto rimprovero, mentre l'enne-simo motorino è costretto a compiere la pericolosa manovra e il conducen-te, tanto per restare in tema, ci dice i morti.
«Cambio la gomma, ho bucato. Che sfiga» dice laconico, senza alzare lo sguardo.
«Ma tu pensa! Per un attimo ho creduto che volessi provocare un inci-dente e prenderti subito il morto... perché non apri anche il portellone po-steriore? Così il prossimo ci finisce direttamente dentro!»
Lui ride, naturalmente; ma non mi sembra di aver fatto una battuta. An-zi, non sono mai stato così serio. Si lascia lo sportello aperto in curva?! Gli affari sono affari, d'accordo, ma così diventa tentato omicidio.
Mi tolgo la giacca: «Ti aiuto io, ma chiudi questa portiera!»
«Scusatemi» dice una vecchietta esile e piccolina, fermandosi e interpel-lando proprio noi che cambiamo la gomma al carro funebre «come arrivo al cimitero?»
Prima che possa risponderle, l'autista interviene subito, pronto: «Salga, signo', che la porto io!»
Uh-uh, che delicatezza d'animo!, penso. Cosa faccio, lo licenzio in tronco per la scortesia oppure gli aumento lo stipendio per l'originalità della battuta? Non è che i miei necrofori, al cimitero, siano meglio di lui... anzi, sono addirittura più rozzi.
«Non c'è un autobus che ci arriva?», insiste l'anziana. Forse non ha capi-to la battuta, forse fa solo finta.
«Sì, c'è.»
«E dove lo devo prendere?»
«In pieno, signo'!»
E due... ma questo qui ha un senso dello humour più macabro del mio! Pe-rò non posso trattenermi dal ridacchiare, senza che la nonnina se ne accor-ga. «Parte dalla stazione», la informo educatamente. «Ce n'è uno ogni venti minuti e si ferma davanti l'ingresso principale del cimitero.»
«Siete gentilissimi!» ci ringrazia, prima di trotterellare via con un passo insolitamente svelto per un vecchina della sua età.
Ovviamente noi siamo sempre gentili con la potenziale clientela.
«È sicura di non volere un passaggio, signora?», le grida dietro il condu-cente del carro funebre. «Può mettersi comoda, addirittura distesa!»
«Smettila, che me la spaventi!» lo rimprovero senza convinzione. Scam-biamo uno sguardo di intesa e un sorriso.
Questa è altre storie le potete comodamente leggere a casa, sul divano, col vostro gatto in braccio.
Basta fare un salto a:
DEATHDOC
e accaparrarvi il libro completo! :D
martedì 5 marzo 2013
Fratelli dello Spazio Profondo di Erika Corvo - un nuovo appuntamento
Prima di tutto, mi scuso per la colpevole assenza: la scorsa settimana è stata davvero impegnativa, miei cari ospiti dei Bastioni.
Ma ora rimedierò subito, lottando contro raffreddore e mal di gola, per portarvi un nuovo episodio della lunga anteprima di Fratello dello Spazio Profondo!
Enjoy!
<< Potrei sapere, a TE, che cavolo interessa tutto questo? >> gli gridai,
esasperato << Vuoi ricattarmi, per caso? O sei proprio tu, quello che
venderà a mia pelle? >>
<< Né l’uno né l’altro, Stylo. A me interessa soltanto perché sei l’unico
amico che ho. Ma al tuo posto, inizierei a spianarmi la strada per qualche
ipotesi di fuga , o quando verrà il momento, sarà troppo tardi per
pensarci.>>
<< Può darsi che tu abbia un sacco di ragione, e ti ringrazio per i dotti
consigli che mi hai munificamente elargito, ma continuo a ripeterti che non
sono affari tuoi. >>
<< Come preferisci, Devaj prof: affari tuoi. >> concluse con un’alzata di
spalle << Grazie per la piacevole serata, comunque. >>
Quella notte non riuscii a chiudere occhio per l’agitazione. Sulle prime
tornai a pensare che potesse veramente essere stato incaricato di spiarmi da
coloro che temevo, ma mi resi conto quasi subito che non era possibile.
Sperai almeno che non volesse o non potesse nuocermi.
PARLA BRIAN
Credetti Che non volesse più vedermi, almeno per un bel pezzo, finché non
gli fosse sbollita. Conoscevo bene, in fondo, la sensazione orribile che si
provava quando si é convinti che ci si sia nascosti bene e qualcuno ti fa
notare che hai lasciato la coda fuori della porta.
Solo che, quando il cane in fuga ero io, nessuno si era mai premurato di
farmelo notare gentilmente: in quei casi, la coda mi veniva calpestata, o
tranciata di netto sbattendo la porta contro lo stipite.
Quindi ero quasi certo che sarebbe tornato a cercarmi, sempreché la mia
amicizia lo interessasse ancora.
Fui sinceramente felice di vedermelo arrivare a fianco mentre mi stavo
godendo un’oretta al simulatore di navigazione, il solo luogo in tutto il
Complesso in cui mi sentissi veramente a mio agio. Il casco olografico
calato in testa, le mani infilate nei guantoni virtuali collegati al computer, e
le voci simulate degli operatori sintetici in cuffia, pronti ai miei comandi.
Amavo quella macchina. Sembrava quasi di poter sentire le vibrazioni del
generatore atomico sotto i miei piedi, come se fosse tutto reale, mentre
ordinavo l’inserimento dei contatti magnetici per preparare l’ingresso
nell’iperspazio, dando il via al conto alla rovescia.
In questa cartuccia di esercitazione mi ero trovato ad incrociare una nave
di classe diciotto che rifiutava di identificarsi: probabilmente trafficanti
d’armi o di schiavi.
<< Dove ti trovi, Brian? >> chiese Stylo infilando la testa nella cabina.
Riconobbi subito la sua voce, anche se non potevo vederlo, e sorrisi.
<< Dalle parti di Andromeda, e sto per iniziare un inseguimento. Vuoi
venire anche tu? Puoi farmi da secondo di bordo, se vuoi. >>
<< Se c’è un casco anche per me, volentieri. >>
Alzai la mia visiera, misi il simulatore in pausa e trovai il secondo casco
sotto il sedile accanto al mio.
<< Fammi vedere cosa sai fare. >>
Non appena si fu sistemato feci ripartire la cassetta e iniziammo ad
inseguire la nave misteriosa. Mentre io impartivo la rotta e determinavo le
modalità dell’inseguimento, Stylo se la cavò egregiamente ordinando al
momento giusto armare i missili ad alta risonanza, e lanciandoli venti
secondi prima di sguinzagliare i caccia. La nave nemica proseguì la sua
fuga cercando di colpirci con un paio di missili ad onde elettromagnetiche.
Uno, riuscii a schivarlo con una rapida manovra, ma il secondo ci colpì
dietro la stiva numero quattro, con danni relativamente leggeri, come ci
informò la voce in cuffia.
<< Perché quel missile non è stato centrato prima che ci colpisse? >>
gridai, mentre alcune gocce di sudore mi scesero giù dalle tempie.
<< Perché i cannonieri di questa cartuccia hanno una pessima mira, a
quanto pare: ecco il perché. >> rispose Stylo.
<< Allora dovremo inventarci una manovra diversiva per riuscire a farlo
fuori limitando i danni. Sala macchine! >> chiamai al finto interfono
<< Attivare il raggio traente! >>
<< Il raggio traente? >> mi chiese la voce di Stylo, sbigottito per quello
strano ordine << Che te ne fai?>>
<< Invece di fare domande, fai rientrare i caccia più presto che puoi. >>
<< TRAENTE ATTIVATO, DEVAJ >> rispose obbediente la sala
macchine.
<< Ponte di manovra! Puntate il traente sulla nave in fuga per quindici
secondi al mio via. Sala macchine: inserire i contatti magnetici quattro,
cinque e sette. >> ordinai, come per prepararmi al balzo nell’iperspazio.
<< ATTIVATI, DEVAJ. >> rispose la voce simulata.
<< Come credi di fare ad entrare nell’iperspazio con il traente attivato e
quella nave agganciata, Brian? Che razza di manovra ti è saltata in
testa?>>
<< Ponte di manovra: attivate la curvatura spazio-temporale. >>
<< CURVATURA ATTIVATA, DEVAJ. >>
<< Attivare il traente: VIA ! >>
Non avevo ancora sperimentato sul simulatore questo tipo di manovra per
sbarazzarmi di un avversario, anche se ci stavo pensando da alcuni giorni,
da quando mi era balenata in testa: se una nave decide di viaggiare
nell’iperspazio, fa in modo di trovarsi all’interno di una sorta di bolla
provocata dalla forzata curvatura dello spazio-tempo tutto attorno, e allora
si fila – letteralmente – come e più di un fulmine.
Ma se una nave si trova agganciata ad un’altra, e questa non si trova al
centro della bolla quando questa viene attivata? Una parte di nave esiste in
uno spazio e l’altra parte in uno spazio differente? Una metà di nave esiste
in un lasso di tempo e l’altra metà domani?
Secondo me, un paradosso simile in una struttura solida, avrebbe prodotto
per forza di cose dei danni estremamente rilevanti, se non addirittura
irreparabili.
Tre secondi più tardi, infatti, a nave inseguita esplose in una nuvola di
pulviscolo e rottami, e la simulazione ebbe termine.
Mi sfilai il casco asciugandomi il sudore dalla fronte con una manica.
<< Te la cavi bene come secondo, Stylo. >> mi complimentai mentre
anch’egli si sfilava il casco olografico.
<< Io? E tu, allora? Quell’idea del traente è fantastica! Non avevo mai
neanche immaginato una simile manovra: sei un genio! >>
<< Frottole! Non sono nessuno. >> minimizzai io abbassando lo sguardo,
imbarazzato e infastidito: non mi piaceva vantarmi, e non mi piace ancora
adesso.
Ma Stylo non sembrava essere della stessa opinione.
<< Brutta miseria, Brian! Questa non è modestia: è autolesionismo! Hai il
punteggio migliore di tutto il Complesso e lasci che tutti ti trattino da
idiota, e quando qualcuno ti dice “sei bravo” tu gli rispondi “non sono
nessuno”? “FANCULO, SONO IL MIGLIORE!” E’questo che dovresti
rispondere, accidenti a te! Hai più coglioni di una mandria di ippopotami
maschi, e ti diverti a tenerli legati come confetti in una bomboniera?
Vorresti dirmi che qua dentro sono riusciti a cavarti via l’orgoglio
dall’anima e buttarlo nel cesso? >>
<< Che stai dicendo, Stylo? >> domandai, sconcertato da quelle sue
parole inaspettate, anche se mi fece un piacere immenso constatare che
non mi serbasse rancore né per come fosse finita la nostra gara di tiro con
l’arco, néper quanto avessi scoperto sul suo conto. << E’ solo che non mi
piace spandere, tutto qui: io sono come tutti gli altri. >>
<< SPANDERE? >> Mi sa che tu abbia le idee parecchio confuse,
ragazzino. Guarda un po’ là dentro. >> disse indicandomi lo schermo
elettronico spento all’interno della cabina di simulazione, rigido e
traslucido, in cui si rifletteva la nostra immagine. << Cosa vedi? >>
<< Be’, la mia solita faccia da cane in fuga. Cos’altro dovrei vedere? >>
<< Io vedo un leone cresciuto fra i cani, che i cani hanno tollerato tra loro,
rinfacciandogli in ogni istante della sua vita di essere diverso da loro. E tu
sprechi ancora il tuo tempo sforzandoti di abbaiare! Ti tormentano perché
sei diverso? Bene: non cambierà MAI, Brian, perché tu SEI diverso, e sei
soltanto patetico quando cerchi di soffocare i tuoi ruggiti guaendo. Ce l’hai
ancora, un po’ di orgoglio? Si? Allora fagli aprire le ali! Impara a volare,
su, in alto! Come un falco sopra un branco di oche, e piantala di sforzarti
di essere uguale a loro, perché non lo sarai MAI ! Tu sei molto meglio, per
tua fortuna! Capisci quello che voglio dire, bastardi Dei? >>
Ciò detto, mi piantò lì e si allontanò, mentre io rimanevo a rimirare,
perplesso, la mia faccia riflessa sullo schermo
<< Hey, Stylo, aspettami! >>
Mi sbrigai a riporre il casco e gli corsi dietro.
Ce ne andammo a bere un mamoa discutendo del fatto che una nave da
guerra che non disponga di buoni cannonieri ha già perso metà della
battaglia.
Per questa settimana, è tutto!
E, come sempre, vi invito ad acquistare i libri della bravissima Erika Corvo.
Amazon di Erika Corvo
Ma ora rimedierò subito, lottando contro raffreddore e mal di gola, per portarvi un nuovo episodio della lunga anteprima di Fratello dello Spazio Profondo!
Enjoy!
<< Potrei sapere, a TE, che cavolo interessa tutto questo? >> gli gridai,
esasperato << Vuoi ricattarmi, per caso? O sei proprio tu, quello che
venderà a mia pelle? >>
<< Né l’uno né l’altro, Stylo. A me interessa soltanto perché sei l’unico
amico che ho. Ma al tuo posto, inizierei a spianarmi la strada per qualche
ipotesi di fuga , o quando verrà il momento, sarà troppo tardi per
pensarci.>>
<< Può darsi che tu abbia un sacco di ragione, e ti ringrazio per i dotti
consigli che mi hai munificamente elargito, ma continuo a ripeterti che non
sono affari tuoi. >>
<< Come preferisci, Devaj prof: affari tuoi. >> concluse con un’alzata di
spalle << Grazie per la piacevole serata, comunque. >>
Quella notte non riuscii a chiudere occhio per l’agitazione. Sulle prime
tornai a pensare che potesse veramente essere stato incaricato di spiarmi da
coloro che temevo, ma mi resi conto quasi subito che non era possibile.
Sperai almeno che non volesse o non potesse nuocermi.
PARLA BRIAN
Credetti Che non volesse più vedermi, almeno per un bel pezzo, finché non
gli fosse sbollita. Conoscevo bene, in fondo, la sensazione orribile che si
provava quando si é convinti che ci si sia nascosti bene e qualcuno ti fa
notare che hai lasciato la coda fuori della porta.
Solo che, quando il cane in fuga ero io, nessuno si era mai premurato di
farmelo notare gentilmente: in quei casi, la coda mi veniva calpestata, o
tranciata di netto sbattendo la porta contro lo stipite.
Quindi ero quasi certo che sarebbe tornato a cercarmi, sempreché la mia
amicizia lo interessasse ancora.
Fui sinceramente felice di vedermelo arrivare a fianco mentre mi stavo
godendo un’oretta al simulatore di navigazione, il solo luogo in tutto il
Complesso in cui mi sentissi veramente a mio agio. Il casco olografico
calato in testa, le mani infilate nei guantoni virtuali collegati al computer, e
le voci simulate degli operatori sintetici in cuffia, pronti ai miei comandi.
Amavo quella macchina. Sembrava quasi di poter sentire le vibrazioni del
generatore atomico sotto i miei piedi, come se fosse tutto reale, mentre
ordinavo l’inserimento dei contatti magnetici per preparare l’ingresso
nell’iperspazio, dando il via al conto alla rovescia.
In questa cartuccia di esercitazione mi ero trovato ad incrociare una nave
di classe diciotto che rifiutava di identificarsi: probabilmente trafficanti
d’armi o di schiavi.
<< Dove ti trovi, Brian? >> chiese Stylo infilando la testa nella cabina.
Riconobbi subito la sua voce, anche se non potevo vederlo, e sorrisi.
<< Dalle parti di Andromeda, e sto per iniziare un inseguimento. Vuoi
venire anche tu? Puoi farmi da secondo di bordo, se vuoi. >>
<< Se c’è un casco anche per me, volentieri. >>
Alzai la mia visiera, misi il simulatore in pausa e trovai il secondo casco
sotto il sedile accanto al mio.
<< Fammi vedere cosa sai fare. >>
Non appena si fu sistemato feci ripartire la cassetta e iniziammo ad
inseguire la nave misteriosa. Mentre io impartivo la rotta e determinavo le
modalità dell’inseguimento, Stylo se la cavò egregiamente ordinando al
momento giusto armare i missili ad alta risonanza, e lanciandoli venti
secondi prima di sguinzagliare i caccia. La nave nemica proseguì la sua
fuga cercando di colpirci con un paio di missili ad onde elettromagnetiche.
Uno, riuscii a schivarlo con una rapida manovra, ma il secondo ci colpì
dietro la stiva numero quattro, con danni relativamente leggeri, come ci
informò la voce in cuffia.
<< Perché quel missile non è stato centrato prima che ci colpisse? >>
gridai, mentre alcune gocce di sudore mi scesero giù dalle tempie.
<< Perché i cannonieri di questa cartuccia hanno una pessima mira, a
quanto pare: ecco il perché. >> rispose Stylo.
<< Allora dovremo inventarci una manovra diversiva per riuscire a farlo
fuori limitando i danni. Sala macchine! >> chiamai al finto interfono
<< Attivare il raggio traente! >>
<< Il raggio traente? >> mi chiese la voce di Stylo, sbigottito per quello
strano ordine << Che te ne fai?>>
<< Invece di fare domande, fai rientrare i caccia più presto che puoi. >>
<< TRAENTE ATTIVATO, DEVAJ >> rispose obbediente la sala
macchine.
<< Ponte di manovra! Puntate il traente sulla nave in fuga per quindici
secondi al mio via. Sala macchine: inserire i contatti magnetici quattro,
cinque e sette. >> ordinai, come per prepararmi al balzo nell’iperspazio.
<< ATTIVATI, DEVAJ. >> rispose la voce simulata.
<< Come credi di fare ad entrare nell’iperspazio con il traente attivato e
quella nave agganciata, Brian? Che razza di manovra ti è saltata in
testa?>>
<< Ponte di manovra: attivate la curvatura spazio-temporale. >>
<< CURVATURA ATTIVATA, DEVAJ. >>
<< Attivare il traente: VIA ! >>
Non avevo ancora sperimentato sul simulatore questo tipo di manovra per
sbarazzarmi di un avversario, anche se ci stavo pensando da alcuni giorni,
da quando mi era balenata in testa: se una nave decide di viaggiare
nell’iperspazio, fa in modo di trovarsi all’interno di una sorta di bolla
provocata dalla forzata curvatura dello spazio-tempo tutto attorno, e allora
si fila – letteralmente – come e più di un fulmine.
Ma se una nave si trova agganciata ad un’altra, e questa non si trova al
centro della bolla quando questa viene attivata? Una parte di nave esiste in
uno spazio e l’altra parte in uno spazio differente? Una metà di nave esiste
in un lasso di tempo e l’altra metà domani?
Secondo me, un paradosso simile in una struttura solida, avrebbe prodotto
per forza di cose dei danni estremamente rilevanti, se non addirittura
irreparabili.
Tre secondi più tardi, infatti, a nave inseguita esplose in una nuvola di
pulviscolo e rottami, e la simulazione ebbe termine.
Mi sfilai il casco asciugandomi il sudore dalla fronte con una manica.
<< Te la cavi bene come secondo, Stylo. >> mi complimentai mentre
anch’egli si sfilava il casco olografico.
<< Io? E tu, allora? Quell’idea del traente è fantastica! Non avevo mai
neanche immaginato una simile manovra: sei un genio! >>
<< Frottole! Non sono nessuno. >> minimizzai io abbassando lo sguardo,
imbarazzato e infastidito: non mi piaceva vantarmi, e non mi piace ancora
adesso.
Ma Stylo non sembrava essere della stessa opinione.
<< Brutta miseria, Brian! Questa non è modestia: è autolesionismo! Hai il
punteggio migliore di tutto il Complesso e lasci che tutti ti trattino da
idiota, e quando qualcuno ti dice “sei bravo” tu gli rispondi “non sono
nessuno”? “FANCULO, SONO IL MIGLIORE!” E’questo che dovresti
rispondere, accidenti a te! Hai più coglioni di una mandria di ippopotami
maschi, e ti diverti a tenerli legati come confetti in una bomboniera?
Vorresti dirmi che qua dentro sono riusciti a cavarti via l’orgoglio
dall’anima e buttarlo nel cesso? >>
<< Che stai dicendo, Stylo? >> domandai, sconcertato da quelle sue
parole inaspettate, anche se mi fece un piacere immenso constatare che
non mi serbasse rancore né per come fosse finita la nostra gara di tiro con
l’arco, néper quanto avessi scoperto sul suo conto. << E’ solo che non mi
piace spandere, tutto qui: io sono come tutti gli altri. >>
<< SPANDERE? >> Mi sa che tu abbia le idee parecchio confuse,
ragazzino. Guarda un po’ là dentro. >> disse indicandomi lo schermo
elettronico spento all’interno della cabina di simulazione, rigido e
traslucido, in cui si rifletteva la nostra immagine. << Cosa vedi? >>
<< Be’, la mia solita faccia da cane in fuga. Cos’altro dovrei vedere? >>
<< Io vedo un leone cresciuto fra i cani, che i cani hanno tollerato tra loro,
rinfacciandogli in ogni istante della sua vita di essere diverso da loro. E tu
sprechi ancora il tuo tempo sforzandoti di abbaiare! Ti tormentano perché
sei diverso? Bene: non cambierà MAI, Brian, perché tu SEI diverso, e sei
soltanto patetico quando cerchi di soffocare i tuoi ruggiti guaendo. Ce l’hai
ancora, un po’ di orgoglio? Si? Allora fagli aprire le ali! Impara a volare,
su, in alto! Come un falco sopra un branco di oche, e piantala di sforzarti
di essere uguale a loro, perché non lo sarai MAI ! Tu sei molto meglio, per
tua fortuna! Capisci quello che voglio dire, bastardi Dei? >>
Ciò detto, mi piantò lì e si allontanò, mentre io rimanevo a rimirare,
perplesso, la mia faccia riflessa sullo schermo
<< Hey, Stylo, aspettami! >>
Mi sbrigai a riporre il casco e gli corsi dietro.
Ce ne andammo a bere un mamoa discutendo del fatto che una nave da
guerra che non disponga di buoni cannonieri ha già perso metà della
battaglia.
Per questa settimana, è tutto!
E, come sempre, vi invito ad acquistare i libri della bravissima Erika Corvo.
Amazon di Erika Corvo
giovedì 21 febbraio 2013
DEATHDOC by Eugenia Guerrieri - terzo appuntamento al cimitero
Cari ospiti dei Bastioni, cosa ci riserverà questa volta Eugenia e il suo Deathdoc?
Scopriamolo subito!
LA PAZZA DEL LOCULO TROPPO LUNGO
Ci son tre cose al mondo: le donne e il vino nero.
La terza, in fondo in fondo, è sempre il cimitero.
(Tiziano Sclavi)
Nel mio giro di ricognizione incrocio una coppia, probabilmente marito e moglie, che discute animatamente proprio del giorno dei morti: lei sostiene che deporre un fiore sulle tombe spoglie che non visita nessuno gli assicurerà un posto in paradiso, mentre il suo accompagnatore ritiene di essere ancora troppo giovane per pensare al "dopo".
Alla fine la spunta la donna e si dividono.
«Tu vai da quella parte, io da questa» la sento dire «e quando abbiamo fi-nito ci chiamiamo! Non buttare i fiori nel primo cassonetto che trovi, o an-drai all'inferno e me ne accorgerò!»
Anche se mi scappa da ridere, faccio lo sforzo sovrumano di trattenermi. L'ultima cosa che voglio è attirare la loro attenzione, ma sono troppo curioso di osservarli.
Perlustro il cimitero in cerca del marito e lo sorprendo mentre cammina parallelamente a una fila di loculi. Non sembra aver voglia di mettersi a di-stribuire fiori a defunti sconosciuti, fatto sta che si limita a sfilarne uno dal mazzo e a deporlo sul davanzale del loculo, accanto alla lucina votiva.
Insomma, si capisce che lo fa malvolentieri, solo per evitare grane con la consorte.
Ma buttali nel secchio, quei fiori. Tanto non è vero che vai all'inferno, gli vorrei dire.
Vado in cerca della moglie. Lei compie un lavoro più sistematico: toglie i fiori appassiti dai vasi, li getta nel cassonetto più vicino (assicurandosi la mia gratitudine per quel gesto) e ne infila uno fresco, facendosi ogni volta il se-gno della croce. Improvvisamente si ferma davanti a un loculo vuoto e resta lì a fissarlo, con i pochi fiori rimanenti che le pendono dalla mano inerte.
Si volta e mi vede. «Senti, scusa», mi apostrofa imperiosamente, «tu lavo-ri qui?»
«Sì» le rispondo, seccato che mi si dia del tu e mi si parli con quel tono.
Indica il loculo vuoto: «Dimmi una cosa: quanto è lungo questo buco?»
«Due metri e trenta.»
«Non avete altre misure?»
Cosa?! Di tutte le domande balzane che mi vengono rivolte, è indubbia-mente la peggiore in assoluto... questa qui crede forse di trovarsi in un nego-zio di articoli per trapassati?! Roba da matti.
Mi sforzo di non scoppiare a riderle in faccia e di essere cortese: «Non esi-stono altre misure. Questo è il loculo standard per adulti, e per legge li fanno tutti così!»
«E il prezzo?»
«Dipende dalla fila. Quella più bassa e quelle più in alto, che per i visita-tori sono scomode, costano meno.»
«Non c'è uno sconto in più, sulla misura del morto?»
«No», scrollo il capo.
«Ma non è giusto» si indigna la donna «io che sono piccolina devo pagare come tutti gli altri per finire in un buco lungo il doppio di me?»
Resto di sasso. Le ho davvero sentito dire quella frase? Mi guardo intorno alla ricerca di testimoni, ma nessuno ci fila.
Perché tutti i pazzi capitano a me?, penso con un sospiro. Rassegnato al pensiero di doverla affrontare da solo, allargo le braccia: «E cosa vuole da me? Non sono previsti ulteriori sconti per le persone basse, mi dispiace. La lun-ghezza del loculo è uguale per tutti! Se non le va bene, può sempre farsi cre-mare. Da qualche anno i parenti possono portarsi le ceneri a casa e metterle in bella mostra sulla mensola del caminetto! Oppure, se preferisce, si posso-no disperdere...»
La donna resta in silenzio per un po', probabilmente riflettendo sulle mie parole. Infine mi sorprende ancora, dicendo: «Perché no? Si può fare! Però bisogna sentire cosa ne pensa mio marito!»
Annuisco con fare condiscendente: «Buona idea, chieda un parere a lui. Sa che per essere cremati serve il consenso del coniuge superstite? A meno che lei non esprima la sua volontà per iscritto mentre è ancora in vita.»
«Ma due persone possono essere messe insieme? Tipo se mio marito mo-rirebbe prima di me, così risparmieremmo. Questi ci stanno in quattro» dice, indicando una tomba in basso.
Sempre più confuso, abbasso gli occhi sulla lapide da lei indicata. Acci-denti, è incredibile che si preoccupi non tanto dell'idea della morte, quanto di quella della spesa.
Le sorrido appena. «Queste persone sono morte da cinquant'anni, non legge le date sulla lapide? Non creda che sia così facile, bisogna chiedere un permesso speciale al Comune... inoltre non risparmierebbe affatto, la spesa sarebbe identica a quella da sostenere affittando un loculo vuoto.»
«Davvero?! Be' io, a mio marito lo chiamo lo stesso. Meglio deciderle fin-ché siamo ancora vivi, certe cose!»
Stremato da quell'assurda discussione, che per i miei gusti si è protratta anche troppo, approvo stancamente: «Giusto, fa bene. Dopo mi faccia sapere cosa decidete, così in caso mi preparo!», le dico prima di allontanarmi.
Inaspettatamente la donna si mette a chiamare il marito urlando a squar-ciagola. «ANDREA! ANDREA, DOVE SEI?»
Mi volto di scatto mentre chi fino a un momento fa non aveva prestato at-tenzione alla scena, si mostra infastidito.
«ANDREA!» continua a berciare quella, fingendo di non vedere le espres-sioni scocciate delle persone lì attorno.
«È assurdo. È inconcepibile» dice qualcuno, indignato.
Subito fanno eco altre lamentele.
«È assoluta mancanza di rispetto, sia nei confronti dei defunti che dei vi-vi!» brontola un'adirata signora.
«Questa qui deve avere scambiato il cimitero per il mercato sulla piazza!»
«Ma insomma, faccia qualcosa!», mi intima un anziano quando torno sui miei passi.
«Avete ragione...» rispondo con un sospiro, avvicinandomi alla donna per rimproverarla. «Signora!!! Cosa fa, si mette a urlare nel cimitero?! Un po' di educazione! Abbia rispetto per gli altri...»
«Anche mio marito è qui da qualche parte. Vivo, naturalmente!», replica interrompendomi.
«Ho capito, ma non può gridare come se fosse al mercato! Non ha un cel-lulare? Gli telefoni!»
Annuendo, compone un numero sulla tastiera del cellulare e a voce altis-sima dice: «ANDREA! VIENI SUBITO QUI, SONO... dov'è che mi trovo, scu-sa?» domanda a me.
«Tronco 15», le rispondo rassegnato. Se prima avevo avuto dei dubbi sulla sanità mentale di questa donna, ora ho finito per convincermi che sia assolu-tamente fuori di testa.
«TRONCO 15», ripete senza abbassare la voce, «CERCA DI SBRIGARTI!»
Aspetto che riattacchi per dirle severamente di non gridare più in quel modo, ma si limita a ordinarmi di restare qui senza degnarsi di chiedere scu-sa. Esasperato, sospiro appena e mi impongo di essere paziente: per guada-gnarmi lo stipendio mi tocca anche fare cose del genere.
Il marito ci raggiunge quasi subito, evidentemente era vicino al tronco 15.
Lo vedo arrivare a passo di carica, l'espressione furente. Con impazienza, domanda alla donna: «Allora... si può sapere cosa c'è? Hai finito di distribuir fiori a perfetti sconosciuti?»
«Me ne mancano pochi.»
«Be', lasciali. Io ho da fare, non posso perdere la mattinata in questo mo-do!» dice, togliendole di mano quello che rimane del mazzo.
La matta tenta di protestare: «Ma no, così è uno spreco...»
«E allora le corone che vengono lasciate dopo i funerali? Le buttano, cosa credi?»
Assisto in silenzio, indeciso se chiamare il 118 o se spiegare a questi due che le corone, dopo i funerali, non vengono affatto buttate: se sono ancora in buone condizioni, i fiorai dei botteghini qui fuori le comprano da me, le di-sfano e ne fanno decorazioni da rivendere, ovviamente alzando il prezzo. Ec-co spiegato dunque, perché nei pressi del cimitero un fiore costa più di un diamante.
Finalmente la donna cede, seppure a malincuore. «E va bene. Però se va-do all'inferno sarà solo colpa tua!»
«Ma via, per quattro fiori che non hai distribuito... dai, andiamo a casa.»
«Aspetta. Ti ho chiamato per un'altra cosa.»
«Cosa? Sentiamo». Il marito, ormai, sembra sul punto di mandare la pro-pria pazienza a farsi un lungo viaggio.
Io me ne rendo conto dal suo linguaggio corporeo, ma la moglie a quanto pare, no. «Fattelo spiegare da lui...» gli risponde indicandomi con un cenno. Visto che non le presto ascolto, alza di nuovo la voce per attirare la mia at-tenzione. «EHI, TU!»
«Signora, basta gridare!» le ingiungo furioso. Ne ho abbastanza di quella sciroccata e se non se ne va immediatamente la picchio.
Mi risponde con indifferenza, scrollando le spalle: «Tanto i morti non si svegliano!»
«I morti non si svegliano», ripeto severamente, «ma lei, con la voce che si ritrova sta dando noia a tutti, me compreso! Sa parlare un po' più piano?»
Attorno a noi si è radunata un sacco di gente. La pazza non si rende conto che rischia il linciaggio, se non la smette di dare spettacolo.
«Lei ha perfettamente ragione, ma la scusi...», scrolla il capo il marito. «È un po' stravagante!»
Un po' stravagante?! Secondo me è proprio matta!!! Bofonchio che sono lì per lavorare, non per chiacchierare, e mi allontano più in fretta che posso. Perché, fra tanti visitatori, dovevo imbattermi proprio in quei due?
Se volete altre perle su cosa significhi lavorare in un cimitero, perchè non andate a dare il vostro contributo alla brava Eugenia? :D
Deathdoc
Scopriamolo subito!
LA PAZZA DEL LOCULO TROPPO LUNGO
Ci son tre cose al mondo: le donne e il vino nero.
La terza, in fondo in fondo, è sempre il cimitero.
(Tiziano Sclavi)
Nel mio giro di ricognizione incrocio una coppia, probabilmente marito e moglie, che discute animatamente proprio del giorno dei morti: lei sostiene che deporre un fiore sulle tombe spoglie che non visita nessuno gli assicurerà un posto in paradiso, mentre il suo accompagnatore ritiene di essere ancora troppo giovane per pensare al "dopo".
Alla fine la spunta la donna e si dividono.
«Tu vai da quella parte, io da questa» la sento dire «e quando abbiamo fi-nito ci chiamiamo! Non buttare i fiori nel primo cassonetto che trovi, o an-drai all'inferno e me ne accorgerò!»
Anche se mi scappa da ridere, faccio lo sforzo sovrumano di trattenermi. L'ultima cosa che voglio è attirare la loro attenzione, ma sono troppo curioso di osservarli.
Perlustro il cimitero in cerca del marito e lo sorprendo mentre cammina parallelamente a una fila di loculi. Non sembra aver voglia di mettersi a di-stribuire fiori a defunti sconosciuti, fatto sta che si limita a sfilarne uno dal mazzo e a deporlo sul davanzale del loculo, accanto alla lucina votiva.
Insomma, si capisce che lo fa malvolentieri, solo per evitare grane con la consorte.
Ma buttali nel secchio, quei fiori. Tanto non è vero che vai all'inferno, gli vorrei dire.
Vado in cerca della moglie. Lei compie un lavoro più sistematico: toglie i fiori appassiti dai vasi, li getta nel cassonetto più vicino (assicurandosi la mia gratitudine per quel gesto) e ne infila uno fresco, facendosi ogni volta il se-gno della croce. Improvvisamente si ferma davanti a un loculo vuoto e resta lì a fissarlo, con i pochi fiori rimanenti che le pendono dalla mano inerte.
Si volta e mi vede. «Senti, scusa», mi apostrofa imperiosamente, «tu lavo-ri qui?»
«Sì» le rispondo, seccato che mi si dia del tu e mi si parli con quel tono.
Indica il loculo vuoto: «Dimmi una cosa: quanto è lungo questo buco?»
«Due metri e trenta.»
«Non avete altre misure?»
Cosa?! Di tutte le domande balzane che mi vengono rivolte, è indubbia-mente la peggiore in assoluto... questa qui crede forse di trovarsi in un nego-zio di articoli per trapassati?! Roba da matti.
Mi sforzo di non scoppiare a riderle in faccia e di essere cortese: «Non esi-stono altre misure. Questo è il loculo standard per adulti, e per legge li fanno tutti così!»
«E il prezzo?»
«Dipende dalla fila. Quella più bassa e quelle più in alto, che per i visita-tori sono scomode, costano meno.»
«Non c'è uno sconto in più, sulla misura del morto?»
«No», scrollo il capo.
«Ma non è giusto» si indigna la donna «io che sono piccolina devo pagare come tutti gli altri per finire in un buco lungo il doppio di me?»
Resto di sasso. Le ho davvero sentito dire quella frase? Mi guardo intorno alla ricerca di testimoni, ma nessuno ci fila.
Perché tutti i pazzi capitano a me?, penso con un sospiro. Rassegnato al pensiero di doverla affrontare da solo, allargo le braccia: «E cosa vuole da me? Non sono previsti ulteriori sconti per le persone basse, mi dispiace. La lun-ghezza del loculo è uguale per tutti! Se non le va bene, può sempre farsi cre-mare. Da qualche anno i parenti possono portarsi le ceneri a casa e metterle in bella mostra sulla mensola del caminetto! Oppure, se preferisce, si posso-no disperdere...»
La donna resta in silenzio per un po', probabilmente riflettendo sulle mie parole. Infine mi sorprende ancora, dicendo: «Perché no? Si può fare! Però bisogna sentire cosa ne pensa mio marito!»
Annuisco con fare condiscendente: «Buona idea, chieda un parere a lui. Sa che per essere cremati serve il consenso del coniuge superstite? A meno che lei non esprima la sua volontà per iscritto mentre è ancora in vita.»
«Ma due persone possono essere messe insieme? Tipo se mio marito mo-rirebbe prima di me, così risparmieremmo. Questi ci stanno in quattro» dice, indicando una tomba in basso.
Sempre più confuso, abbasso gli occhi sulla lapide da lei indicata. Acci-denti, è incredibile che si preoccupi non tanto dell'idea della morte, quanto di quella della spesa.
Le sorrido appena. «Queste persone sono morte da cinquant'anni, non legge le date sulla lapide? Non creda che sia così facile, bisogna chiedere un permesso speciale al Comune... inoltre non risparmierebbe affatto, la spesa sarebbe identica a quella da sostenere affittando un loculo vuoto.»
«Davvero?! Be' io, a mio marito lo chiamo lo stesso. Meglio deciderle fin-ché siamo ancora vivi, certe cose!»
Stremato da quell'assurda discussione, che per i miei gusti si è protratta anche troppo, approvo stancamente: «Giusto, fa bene. Dopo mi faccia sapere cosa decidete, così in caso mi preparo!», le dico prima di allontanarmi.
Inaspettatamente la donna si mette a chiamare il marito urlando a squar-ciagola. «ANDREA! ANDREA, DOVE SEI?»
Mi volto di scatto mentre chi fino a un momento fa non aveva prestato at-tenzione alla scena, si mostra infastidito.
«ANDREA!» continua a berciare quella, fingendo di non vedere le espres-sioni scocciate delle persone lì attorno.
«È assurdo. È inconcepibile» dice qualcuno, indignato.
Subito fanno eco altre lamentele.
«È assoluta mancanza di rispetto, sia nei confronti dei defunti che dei vi-vi!» brontola un'adirata signora.
«Questa qui deve avere scambiato il cimitero per il mercato sulla piazza!»
«Ma insomma, faccia qualcosa!», mi intima un anziano quando torno sui miei passi.
«Avete ragione...» rispondo con un sospiro, avvicinandomi alla donna per rimproverarla. «Signora!!! Cosa fa, si mette a urlare nel cimitero?! Un po' di educazione! Abbia rispetto per gli altri...»
«Anche mio marito è qui da qualche parte. Vivo, naturalmente!», replica interrompendomi.
«Ho capito, ma non può gridare come se fosse al mercato! Non ha un cel-lulare? Gli telefoni!»
Annuendo, compone un numero sulla tastiera del cellulare e a voce altis-sima dice: «ANDREA! VIENI SUBITO QUI, SONO... dov'è che mi trovo, scu-sa?» domanda a me.
«Tronco 15», le rispondo rassegnato. Se prima avevo avuto dei dubbi sulla sanità mentale di questa donna, ora ho finito per convincermi che sia assolu-tamente fuori di testa.
«TRONCO 15», ripete senza abbassare la voce, «CERCA DI SBRIGARTI!»
Aspetto che riattacchi per dirle severamente di non gridare più in quel modo, ma si limita a ordinarmi di restare qui senza degnarsi di chiedere scu-sa. Esasperato, sospiro appena e mi impongo di essere paziente: per guada-gnarmi lo stipendio mi tocca anche fare cose del genere.
Il marito ci raggiunge quasi subito, evidentemente era vicino al tronco 15.
Lo vedo arrivare a passo di carica, l'espressione furente. Con impazienza, domanda alla donna: «Allora... si può sapere cosa c'è? Hai finito di distribuir fiori a perfetti sconosciuti?»
«Me ne mancano pochi.»
«Be', lasciali. Io ho da fare, non posso perdere la mattinata in questo mo-do!» dice, togliendole di mano quello che rimane del mazzo.
La matta tenta di protestare: «Ma no, così è uno spreco...»
«E allora le corone che vengono lasciate dopo i funerali? Le buttano, cosa credi?»
Assisto in silenzio, indeciso se chiamare il 118 o se spiegare a questi due che le corone, dopo i funerali, non vengono affatto buttate: se sono ancora in buone condizioni, i fiorai dei botteghini qui fuori le comprano da me, le di-sfano e ne fanno decorazioni da rivendere, ovviamente alzando il prezzo. Ec-co spiegato dunque, perché nei pressi del cimitero un fiore costa più di un diamante.
Finalmente la donna cede, seppure a malincuore. «E va bene. Però se va-do all'inferno sarà solo colpa tua!»
«Ma via, per quattro fiori che non hai distribuito... dai, andiamo a casa.»
«Aspetta. Ti ho chiamato per un'altra cosa.»
«Cosa? Sentiamo». Il marito, ormai, sembra sul punto di mandare la pro-pria pazienza a farsi un lungo viaggio.
Io me ne rendo conto dal suo linguaggio corporeo, ma la moglie a quanto pare, no. «Fattelo spiegare da lui...» gli risponde indicandomi con un cenno. Visto che non le presto ascolto, alza di nuovo la voce per attirare la mia at-tenzione. «EHI, TU!»
«Signora, basta gridare!» le ingiungo furioso. Ne ho abbastanza di quella sciroccata e se non se ne va immediatamente la picchio.
Mi risponde con indifferenza, scrollando le spalle: «Tanto i morti non si svegliano!»
«I morti non si svegliano», ripeto severamente, «ma lei, con la voce che si ritrova sta dando noia a tutti, me compreso! Sa parlare un po' più piano?»
Attorno a noi si è radunata un sacco di gente. La pazza non si rende conto che rischia il linciaggio, se non la smette di dare spettacolo.
«Lei ha perfettamente ragione, ma la scusi...», scrolla il capo il marito. «È un po' stravagante!»
Un po' stravagante?! Secondo me è proprio matta!!! Bofonchio che sono lì per lavorare, non per chiacchierare, e mi allontano più in fretta che posso. Perché, fra tanti visitatori, dovevo imbattermi proprio in quei due?
Se volete altre perle su cosa significhi lavorare in un cimitero, perchè non andate a dare il vostro contributo alla brava Eugenia? :D
Deathdoc
martedì 19 febbraio 2013
Fratelli dello Spazio Profondo di Erika Corvo - e siamo a metà anteprima!
Giro di boa per la nostra anteprima di Fratelli dello Spazio Profondo!
E i misteri non fanno che infittirsi...
<< Ho già ottenuto più di quanto sperassi, e passare per il cocco di Stylo
Van Petar, invece di aiutarmi, potrebbe nuocere ad entrambi. Hai pensato
ai pettegolezzi che potrebbero nascere? Strano che non sia ancora venuto
in mente a nessuno che io e te... >>
Stylo arrossì come un tramonto a quell’idea che, evidentemente, non lo
aveva nemmeno sfiorato.
<< Per la miseria, io non ho mai... >> iniziò, fissandomi a bocca aperta.
<< Benissimo; allora, costi quel che costi alle mie devastate finanze, da
oggi in poi, almeno una volta alla settimana, non solo ce ne andremo in
qualche posto a bere un mamoa, ma concluderemo la serata con qualche
donnina. Non tarderà molto a spargersi la voce che i nostri gusti sessuali
siano assolutamente etero. >>
Questa volta fu il mio turno di arrossire come un retrorazzo. << Non... non
credo che sia necessario arrivare fino a questo punto, e poi... >> Fui io a
sbagliare il colpo, ora.
<< E poi?... >>
<< Poi... non sono mai stato con una donna, finora! >> ammisi,
imbarazzato. << Non so nemmeno da che parte si comincia, e non sono
neanche sicuro che la faccenda mi interessi! >>
<< Sei di altri gusti? >>
<< No, non è questione di quale sesso mi piaccia... è che finora non mi
ero mai posto il problema: tutto qui. Non ho mai neanche perso tempo a
pensare verso quale tipo di preferenze orientarmi. >>
<< Io, personalmente, non ho niente in contrario a qualunque tipo di
situazione. Ma il fatto è che in qualsiasi istituto scolastico è
categoricamente proibito l’approccio sessuale tra professori e allievi, a
qualunque sesso appartengano. Se esistesse la pena di morte nella
Federazione, sono sicuro che in casi simili la applicherebbero senza
pensarci due volte. >>
<< Addirittura? >>
<< Ti assicuro che non esagero. E’ la prima cosa che ogni rettore mette in
chiaro, quando gli si parla di lavoro. Ma non si tratta solo di moralità:
l’imparzialità delle votazioni non può essere messa in discussione in base a
fattori che nulla hanno a che vedere con l’insegnamento. Pensa a cosa
succederebbe se i punteggi venissero alterati da relazioni, filarini e gelosie.
Quando maneggi testate nucleari o sei alla guida di un cargo spaziale in un
campo di asteroidi, non importa a nessuno se il prof ti volesse bene: conta
soltanto se tu sia o no in grado di svolgere un incarico di altissima
responsabilità. Comunque faremo in modo che questo genere di
pettegolezzi non debba riguardarci. Ci tengo maledettamente a rimanere
qui e a conservare la cattedra. >>
<< Ma non hai detto che non ti pagano? >> domandai buttandola lì, dato
che Stylo non aveva mi specificato nulla a proposito della sua retribuzione.
<< E con questo? Anche se non prendo una Corona, ci tengo lo stesso a...
Hey, io NON TI HO MAI DETTO che non mi pagano: come fai a... >> la
sua espressione mutò di colpo, e mi lanciò un’occhiata carica di sospetto.
<< Non è che quel giorno, tu non ti trovassi per caso nell’orto botanico
ma fossi lì a SPIARMI ? >>
Sicuramente non lo fece in modo intenzionale, ma per un attimo puntò
l’arco, con la freccia già incoccata, nella mia direzione. E io reagii
d’istinto, scattando come una molla. Un secondo più tardi gli avevo già
strappato l’arco dalle mani, e agguantatolo per il bavero lo scaraventai
contro il tronco alle sue spalle, alzandolo da terra di un paio di spanne.
<< Non puntarmi MAI PIU’ un’arma addosso, Stylo Van Petar! >> gli
ringhiai rabbiosamente sul muso << Altrimenti, amici o no, non virai
abbastanza per raccontarlo in giro, Devaj Prof! CHIARO? >>
<< Scusami, Brian... >> farfugliò lui, pallido come un cencio. << Per gli
Dei, te lo giuro, non l’ho fatto apposta! >>
La mia rabbia sbollì in pochi istanti, e subito mi vergognai per aver agito
senza pensare. Borbottai due parole di scusa e lo rimisi a terra, mollando la
presa.
<< Per questa volta voglio crederti. Torniamo al Complesso, ora. Questo
gioco mi ha stufato, e comunque non vedo per quale accidente di motivo
dovrei perdere il mio tempo a spiarti. Ho cose più importanti a cui pensare,
e neanche ti conoscevo, prima di allora. >>
Mi voltai e me ne andai senza attenderlo. Per me, la cosa finì lì.
Ma ora ero certo che lavorasse gratis, e soprattutto, che se aveva paura di
poter essere spiato, aveva qualcosa da nascondere o si stava nascondendo
da qualcuno, anche se ancora non ne conoscevo il motivo.
Comprendevo meglio il motivo per cui trovasse interessante la mia
amicizia: anche se io non mi nascondevo da nessuno non uscivo spesso e
non giravo volentieri oltre il perimetro del Complesso.Temevo di poter
essere sorpreso da gruppi di studenti armati, o ubriachi, e dovermela
quindi cavare in zone che non conoscessi alla perfezione. Avevo avuto
modo di notare che, quando uscivamo insieme, non scegliesse a caso dove
andare, ma evitasse accuratamente i luoghi frequentati dagli altri studenti.
Pace per me, pace per lui. Meglio per tutti, dedussi.
PARLA STYLO
Non mi andava proprio a genio l’idea di potermi giocare la cattedra
qualora fossero nati pettegolezzi sul nostro conto, così decisi che qualche
avventura galante con ragazze frequentate abitualmente dai clienti del
Complesso fosse doverosa.
I loro pettegolezzi ci avrebbero protetto.
Brian era teso e nervoso, una delle rare volte in cui lo vidi veramente a
disagio, incapace di dominare la situazione in cui sui era immerso. Per
tutta a durata del tragitto di andata mi subissò di domande su tutto ciò che
comportasse quel genere di svago, continuando a passarsi nervosamente le
dita tra i capelli.
Avevo scelto un orario in cui il “ Doppia J “ era poco frequentato – volevo
che si sapesse che eravamo stati là, ma non mi andava che ci vedessero in
troppi.
Pregai Brian di non darmi del tu in pubblico, ma di chiamarmi Devaj Prof,
come avrebbe fatto qualunque altro studente. Ormai era chiaro che la
nostra amicizia andasse tutelata.
Le ragazze erano carine e garbate, non avevano nulla di volgare e facevano
il loro lavoro senza aver l’aria che fosse un dovere.
Scelsi una brunetta per me e consigliai Brian sulla scelta della ragazza per
lui. Alla fine si decise per una biondina dai capelli tagliati corti, a
caschetto, e si eclissò in camera con lei. Di nascosto, le avevo dato una
piccola mancia spiegandole che per lui era la prima volta, e di usare
qualche gentilezza in più.
Quando tornarono in salone, un paio d’ore più tardi, Brian aveva l’aria
trasognata e gli occhi che brillavano. Non volle mai raccontarmi nulla di
cosa fosse successo, ma vedendolo tranquillo e rilassato, dedussi che
dovesse essere andato tutto bene e non gli feci domande. In fondo, non
erano affari miei.
<< Come conoscevi quel locale, Stylo? >> mi domandò lungo la strada
del ritorno. << Non ti comportavi come se ci fossi entrato per la prima
volta. >>
<< Infatti lo conoscevo già. >>
<< E quando ci sei stato, se sei arrivato su Ottol tre settimane fa, e la sera
non esci praticamente mai ? >>
<< Ci venivo anni fa. Quando avevo la tua età, pressappoco. >>
<< Vuoi dire che non è la prima volta che ti trovi su questo pianeta? >>
<< No, infatti. Anch’io ho studiato qui. Per questo non ho avuto troppe
difficoltà a farmi accettare dal rettore: anche se ho pochi anni di esperienza
alle spalle, sa quello che valgo e cosa posso offrire. >>
<< Gratis... >> precisò con un certo sarcasmo.
<< Te l’ho già detto, Brian... sono affari miei. >>
<< Saranno sicuramente affari tuoi, Stylo, ma non puoi impedirmi di
formulare delle ipotesi sul tuo conto, visto che i mio cervello funziona e
che questo mistero mi incuriosisce parecchio. >>
Mi guardò aspettandosi una risposta, ma preferii tacere.
<< Secondo me ti stai nascondendo da qualcosa. O da qualcuno. >>
proseguì.
Accidenti a lui, non era affatto stupido, il ragazzo.
<< Pensa un po’ quello che ti pare. >> ribattei nervosamente.
<< Guai con i federali? >>
<< Non sono loro che temo. >> ammisi con un certo disappunto. Non mi
andava di parlare di certe cose: poteva essere un rischio. << Anche se non
sono pulito. >>
<< Allora perché non ti rivolgi a loro, per proteggerti, invece che al
rettore? Se riesco io ad accorgermi che non ti chiami Van Petar, se ne
accorgeranno anche gli altri, prima o poi, sai? >>
Supremo Devaj come aveva fatto a stabilire una cosa del genere? E come
avevo potuto tradirmi? Ero andato al Doppio J perché circolassero
determinate voci sul nostro conto, ma se le voci fossero state decisamente
diverse da quelle che avrei voluto... la faccenda cambiava!
Frenai bruscamente il veicolo di cui ero alla guida e lo affrontai come una
furia.
<< Anche se non ho ancora capito chi ti autorizzi a ficcare il naso nella
mia vita privata, mi vuoi spiegare in base a che cosa tu stabilisci che il mio
nome possa essere un altro, perché me lo vieni a dire con quell’aria
saccente, ragazzino? >>
Mi aspettavo una reazione brusca da parte sua, invece mi sorpresi
vedendolo rimanere praticamente impassibile.
<< Quando ti chiamo Stylo rispondi subito. Se ti chiamo Devaj prof,
reagisci entro due secondi: inconsciamente sai che è il titolo che ti spetta,
anche se sembra che tu non ti ci sia ancora abituato, altrimenti
risponderesti in tempi minori e in modo più meccanico, quindi ho dedotto
che è la prima volta che ti trovi nel ruolo di docente. Ma stasera ho notato,
soprattutto dopo i primi bicchieri che ti hanno indotto ad abbassare la
guardia, che a chiamarti Van Petar ti volti soltanto quando realizzi che il
proprietario di quel nome dovresti essere tu. Forse, in una circostanza
meno informale avresti mantenuto un autocontrollo maggiore, ma dato
l’ambiente e la compagnia, non è andata così. Adesso so di te che hai
paura di venire spiato, che il tuo nome non è Van Petar, e che se non chiedi
aiuto ai federali nonostante tu affermi di non temerli, significa che hai
pestato i piedi a qualcuno più potente di loro: o hai visto qualcosa che non
dovevi vedere, o sai qualcosa di troppo. >>
<< In questo momento credo di odiarti, Brian. >> dissi rabbiosamente a
denti stretti rimettendo in funzione il cuscinetto d’aria e spingendo
bruscamente in avanti il motore a trazione magnetica.
<< E’ per questo che ti faccio comodo, vero, Stylo? Certo, con me non
corri rischi, visto che io mi nascondo quasi al pari di te, e conduco una vita
più riservata di tutti gli altri studenti. >>
Brutta miseria, l’arguzia di quel ragazzo mi sconcertava. Ero stato
convinto, finora, di essermi procurato una copertura, non dico a prova di
bomba, ma almeno decente. E invece, un ragazzino di nemmeno vent’anni,
nel giro di tre settimane, era riuscito a scoprire quanto fosse fasullo il mio
personaggio.
Mi sentii perso.
<< Gli altri prof sanno chi sei, o lo sa soltanto il rettore? >>
<< Lo sanno. >> ammisi << Sono stato loro allievo, fino a pochi anni fa:
si ricordano benissimo di me. >>
<< Allora, può darsi che possano contornarti di un muro di omertà, oppure
che qualcuno di loro si metta in testa di vendere la tua pelle, se appena
avrà almeno una vaga idea di dove venderla, o a chi. >>
Beh... mi spiace, ma anche questa settimana rimarrete col fiato sospeso credo!
Ci vediamo presto su questo angolo dell'universo...
E, con la brava Erika Corvo, sulla sua pagina amazon!
Erika Corvo
E i misteri non fanno che infittirsi...
<< Ho già ottenuto più di quanto sperassi, e passare per il cocco di Stylo
Van Petar, invece di aiutarmi, potrebbe nuocere ad entrambi. Hai pensato
ai pettegolezzi che potrebbero nascere? Strano che non sia ancora venuto
in mente a nessuno che io e te... >>
Stylo arrossì come un tramonto a quell’idea che, evidentemente, non lo
aveva nemmeno sfiorato.
<< Per la miseria, io non ho mai... >> iniziò, fissandomi a bocca aperta.
<< Benissimo; allora, costi quel che costi alle mie devastate finanze, da
oggi in poi, almeno una volta alla settimana, non solo ce ne andremo in
qualche posto a bere un mamoa, ma concluderemo la serata con qualche
donnina. Non tarderà molto a spargersi la voce che i nostri gusti sessuali
siano assolutamente etero. >>
Questa volta fu il mio turno di arrossire come un retrorazzo. << Non... non
credo che sia necessario arrivare fino a questo punto, e poi... >> Fui io a
sbagliare il colpo, ora.
<< E poi?... >>
<< Poi... non sono mai stato con una donna, finora! >> ammisi,
imbarazzato. << Non so nemmeno da che parte si comincia, e non sono
neanche sicuro che la faccenda mi interessi! >>
<< Sei di altri gusti? >>
<< No, non è questione di quale sesso mi piaccia... è che finora non mi
ero mai posto il problema: tutto qui. Non ho mai neanche perso tempo a
pensare verso quale tipo di preferenze orientarmi. >>
<< Io, personalmente, non ho niente in contrario a qualunque tipo di
situazione. Ma il fatto è che in qualsiasi istituto scolastico è
categoricamente proibito l’approccio sessuale tra professori e allievi, a
qualunque sesso appartengano. Se esistesse la pena di morte nella
Federazione, sono sicuro che in casi simili la applicherebbero senza
pensarci due volte. >>
<< Addirittura? >>
<< Ti assicuro che non esagero. E’ la prima cosa che ogni rettore mette in
chiaro, quando gli si parla di lavoro. Ma non si tratta solo di moralità:
l’imparzialità delle votazioni non può essere messa in discussione in base a
fattori che nulla hanno a che vedere con l’insegnamento. Pensa a cosa
succederebbe se i punteggi venissero alterati da relazioni, filarini e gelosie.
Quando maneggi testate nucleari o sei alla guida di un cargo spaziale in un
campo di asteroidi, non importa a nessuno se il prof ti volesse bene: conta
soltanto se tu sia o no in grado di svolgere un incarico di altissima
responsabilità. Comunque faremo in modo che questo genere di
pettegolezzi non debba riguardarci. Ci tengo maledettamente a rimanere
qui e a conservare la cattedra. >>
<< Ma non hai detto che non ti pagano? >> domandai buttandola lì, dato
che Stylo non aveva mi specificato nulla a proposito della sua retribuzione.
<< E con questo? Anche se non prendo una Corona, ci tengo lo stesso a...
Hey, io NON TI HO MAI DETTO che non mi pagano: come fai a... >> la
sua espressione mutò di colpo, e mi lanciò un’occhiata carica di sospetto.
<< Non è che quel giorno, tu non ti trovassi per caso nell’orto botanico
ma fossi lì a SPIARMI ? >>
Sicuramente non lo fece in modo intenzionale, ma per un attimo puntò
l’arco, con la freccia già incoccata, nella mia direzione. E io reagii
d’istinto, scattando come una molla. Un secondo più tardi gli avevo già
strappato l’arco dalle mani, e agguantatolo per il bavero lo scaraventai
contro il tronco alle sue spalle, alzandolo da terra di un paio di spanne.
<< Non puntarmi MAI PIU’ un’arma addosso, Stylo Van Petar! >> gli
ringhiai rabbiosamente sul muso << Altrimenti, amici o no, non virai
abbastanza per raccontarlo in giro, Devaj Prof! CHIARO? >>
<< Scusami, Brian... >> farfugliò lui, pallido come un cencio. << Per gli
Dei, te lo giuro, non l’ho fatto apposta! >>
La mia rabbia sbollì in pochi istanti, e subito mi vergognai per aver agito
senza pensare. Borbottai due parole di scusa e lo rimisi a terra, mollando la
presa.
<< Per questa volta voglio crederti. Torniamo al Complesso, ora. Questo
gioco mi ha stufato, e comunque non vedo per quale accidente di motivo
dovrei perdere il mio tempo a spiarti. Ho cose più importanti a cui pensare,
e neanche ti conoscevo, prima di allora. >>
Mi voltai e me ne andai senza attenderlo. Per me, la cosa finì lì.
Ma ora ero certo che lavorasse gratis, e soprattutto, che se aveva paura di
poter essere spiato, aveva qualcosa da nascondere o si stava nascondendo
da qualcuno, anche se ancora non ne conoscevo il motivo.
Comprendevo meglio il motivo per cui trovasse interessante la mia
amicizia: anche se io non mi nascondevo da nessuno non uscivo spesso e
non giravo volentieri oltre il perimetro del Complesso.Temevo di poter
essere sorpreso da gruppi di studenti armati, o ubriachi, e dovermela
quindi cavare in zone che non conoscessi alla perfezione. Avevo avuto
modo di notare che, quando uscivamo insieme, non scegliesse a caso dove
andare, ma evitasse accuratamente i luoghi frequentati dagli altri studenti.
Pace per me, pace per lui. Meglio per tutti, dedussi.
PARLA STYLO
Non mi andava proprio a genio l’idea di potermi giocare la cattedra
qualora fossero nati pettegolezzi sul nostro conto, così decisi che qualche
avventura galante con ragazze frequentate abitualmente dai clienti del
Complesso fosse doverosa.
I loro pettegolezzi ci avrebbero protetto.
Brian era teso e nervoso, una delle rare volte in cui lo vidi veramente a
disagio, incapace di dominare la situazione in cui sui era immerso. Per
tutta a durata del tragitto di andata mi subissò di domande su tutto ciò che
comportasse quel genere di svago, continuando a passarsi nervosamente le
dita tra i capelli.
Avevo scelto un orario in cui il “ Doppia J “ era poco frequentato – volevo
che si sapesse che eravamo stati là, ma non mi andava che ci vedessero in
troppi.
Pregai Brian di non darmi del tu in pubblico, ma di chiamarmi Devaj Prof,
come avrebbe fatto qualunque altro studente. Ormai era chiaro che la
nostra amicizia andasse tutelata.
Le ragazze erano carine e garbate, non avevano nulla di volgare e facevano
il loro lavoro senza aver l’aria che fosse un dovere.
Scelsi una brunetta per me e consigliai Brian sulla scelta della ragazza per
lui. Alla fine si decise per una biondina dai capelli tagliati corti, a
caschetto, e si eclissò in camera con lei. Di nascosto, le avevo dato una
piccola mancia spiegandole che per lui era la prima volta, e di usare
qualche gentilezza in più.
Quando tornarono in salone, un paio d’ore più tardi, Brian aveva l’aria
trasognata e gli occhi che brillavano. Non volle mai raccontarmi nulla di
cosa fosse successo, ma vedendolo tranquillo e rilassato, dedussi che
dovesse essere andato tutto bene e non gli feci domande. In fondo, non
erano affari miei.
<< Come conoscevi quel locale, Stylo? >> mi domandò lungo la strada
del ritorno. << Non ti comportavi come se ci fossi entrato per la prima
volta. >>
<< Infatti lo conoscevo già. >>
<< E quando ci sei stato, se sei arrivato su Ottol tre settimane fa, e la sera
non esci praticamente mai ? >>
<< Ci venivo anni fa. Quando avevo la tua età, pressappoco. >>
<< Vuoi dire che non è la prima volta che ti trovi su questo pianeta? >>
<< No, infatti. Anch’io ho studiato qui. Per questo non ho avuto troppe
difficoltà a farmi accettare dal rettore: anche se ho pochi anni di esperienza
alle spalle, sa quello che valgo e cosa posso offrire. >>
<< Gratis... >> precisò con un certo sarcasmo.
<< Te l’ho già detto, Brian... sono affari miei. >>
<< Saranno sicuramente affari tuoi, Stylo, ma non puoi impedirmi di
formulare delle ipotesi sul tuo conto, visto che i mio cervello funziona e
che questo mistero mi incuriosisce parecchio. >>
Mi guardò aspettandosi una risposta, ma preferii tacere.
<< Secondo me ti stai nascondendo da qualcosa. O da qualcuno. >>
proseguì.
Accidenti a lui, non era affatto stupido, il ragazzo.
<< Pensa un po’ quello che ti pare. >> ribattei nervosamente.
<< Guai con i federali? >>
<< Non sono loro che temo. >> ammisi con un certo disappunto. Non mi
andava di parlare di certe cose: poteva essere un rischio. << Anche se non
sono pulito. >>
<< Allora perché non ti rivolgi a loro, per proteggerti, invece che al
rettore? Se riesco io ad accorgermi che non ti chiami Van Petar, se ne
accorgeranno anche gli altri, prima o poi, sai? >>
Supremo Devaj come aveva fatto a stabilire una cosa del genere? E come
avevo potuto tradirmi? Ero andato al Doppio J perché circolassero
determinate voci sul nostro conto, ma se le voci fossero state decisamente
diverse da quelle che avrei voluto... la faccenda cambiava!
Frenai bruscamente il veicolo di cui ero alla guida e lo affrontai come una
furia.
<< Anche se non ho ancora capito chi ti autorizzi a ficcare il naso nella
mia vita privata, mi vuoi spiegare in base a che cosa tu stabilisci che il mio
nome possa essere un altro, perché me lo vieni a dire con quell’aria
saccente, ragazzino? >>
Mi aspettavo una reazione brusca da parte sua, invece mi sorpresi
vedendolo rimanere praticamente impassibile.
<< Quando ti chiamo Stylo rispondi subito. Se ti chiamo Devaj prof,
reagisci entro due secondi: inconsciamente sai che è il titolo che ti spetta,
anche se sembra che tu non ti ci sia ancora abituato, altrimenti
risponderesti in tempi minori e in modo più meccanico, quindi ho dedotto
che è la prima volta che ti trovi nel ruolo di docente. Ma stasera ho notato,
soprattutto dopo i primi bicchieri che ti hanno indotto ad abbassare la
guardia, che a chiamarti Van Petar ti volti soltanto quando realizzi che il
proprietario di quel nome dovresti essere tu. Forse, in una circostanza
meno informale avresti mantenuto un autocontrollo maggiore, ma dato
l’ambiente e la compagnia, non è andata così. Adesso so di te che hai
paura di venire spiato, che il tuo nome non è Van Petar, e che se non chiedi
aiuto ai federali nonostante tu affermi di non temerli, significa che hai
pestato i piedi a qualcuno più potente di loro: o hai visto qualcosa che non
dovevi vedere, o sai qualcosa di troppo. >>
<< In questo momento credo di odiarti, Brian. >> dissi rabbiosamente a
denti stretti rimettendo in funzione il cuscinetto d’aria e spingendo
bruscamente in avanti il motore a trazione magnetica.
<< E’ per questo che ti faccio comodo, vero, Stylo? Certo, con me non
corri rischi, visto che io mi nascondo quasi al pari di te, e conduco una vita
più riservata di tutti gli altri studenti. >>
Brutta miseria, l’arguzia di quel ragazzo mi sconcertava. Ero stato
convinto, finora, di essermi procurato una copertura, non dico a prova di
bomba, ma almeno decente. E invece, un ragazzino di nemmeno vent’anni,
nel giro di tre settimane, era riuscito a scoprire quanto fosse fasullo il mio
personaggio.
Mi sentii perso.
<< Gli altri prof sanno chi sei, o lo sa soltanto il rettore? >>
<< Lo sanno. >> ammisi << Sono stato loro allievo, fino a pochi anni fa:
si ricordano benissimo di me. >>
<< Allora, può darsi che possano contornarti di un muro di omertà, oppure
che qualcuno di loro si metta in testa di vendere la tua pelle, se appena
avrà almeno una vaga idea di dove venderla, o a chi. >>
Beh... mi spiace, ma anche questa settimana rimarrete col fiato sospeso credo!
Ci vediamo presto su questo angolo dell'universo...
E, con la brava Erika Corvo, sulla sua pagina amazon!
Erika Corvo
mercoledì 13 febbraio 2013
Fratelli dello Spazio Profondo di Erika Corvo - cosa nasconde Stylo?
E' sempre un piacere passare il mercoledì con Erika e il suo libro di fantascienza...
Che ne direste, miei ospiti interstellari dei Bastioni, di fare un regalo diverso dal solito per San Valentino?
Come se fosse dotato di occhi anche sulla nuca o di un sesto senso
particolare, sentiva se qualcuno gli si avvicinava da dietro, e in una
frazione di secondo si girava, proteggendo la schiena contro la parete più
vicina.
Aveva momenti in cui bastava un’inezia a farlo cadere in uno stato di
profonda tristezza, durante i quali si chiudeva in se stesso come un riccio,
e rispondeva a monosillabi a quel che gli dicevo nei miei tentativi di
risollevargli il morale.
L’unico modo di scuoterlo erano gli esplosivi: mi accorsi in fretta che
piacevano anche a lui, quasi quanto a me. Quando non trovavo altre
argomentazioni, bastava far brillare tre o quattro piccole cariche dalla
scorta che portavo quasi sempre con me per vederlo tornare di buonumore.
L’atteggiamento tipico dei reietti: se non mi è dato di creare, mi sia dato
almeno di poter distruggere.
Non so cosa mi attraesse, particolarmente, di quella personalità così
ombrosa. Certo, secondo il mio tornaconto personale, mi faceva un gran
comodo un’amicizia che non mi portasse troppo in giro e che non mi
presentasse a sua volta ad una lunga catena di amici e conoscenti, ma fatto
sta che in brevissimo tempo rimasi affascinato da quel ragazzo così solo e
così insolito. In tal modo decisi che valesse la pena di continuare a
frequentarlo, in barba a tutto quello che avrebbero potuto pensare gli altri
studenti.
PARLA BRIAN
Era pazzo. Supremo Devaj, doveva essere più pazzo di me per dedicarmi
tutta la sua pazienza, la sua attenzione, e il suo tempo libero.
Dopo l’incidente che portò al nostro primo incontro, gli fu revocato il
permesso di condurre i suoi esperimenti esplosivi all’interno del perimetro
del Complesso, così ripiegò su alcune aree semiabbandonate a poche ore di
veicolo dall’istituto.
Con la scusa che, se l’avevano sfrattato da lì era stato per causa mia, andò
avanti ad insistere perché ogni volta mi recassi con lui per aiutarlo con gli
strumenti e le misurazioni.
Un po’ mi sentivo effettivamente in colpa, e vuoi perché non è mai
prudente contraddire un professore, vuoi perché mi era veramente
simpatico, mi trovai ogni volta a dirgli di sì.
E riuscì a coinvolgermi.
Partivamo il mattino, di buon’ora. Stylo noleggiava un veicolo a cuscinetto
e con quello si raggiungeva la zona prescelta. Piazzavamo le cariche, le
facevamo brillare, e intanto eseguivamo misurazioni e verifiche di ogni
genere; lui prendeva appunti, faceva calcoli, ed elaborava teorie.
Aveva certe idee sul modo di stabilizzare alcune miscele detonanti di sua
invenzione e non vedeva l’ora di provarne l’esattezza, ma credo di non
sbagliare di molto affermando che fossero tutte scuse inconsce per dare
sfogo all’indole da dinamitardo che era in lui. Quando era soddisfatto
dell’andamento della giornata, mettevamo via tutto e ci si divertiva a far
saltare le cariche ancora inesplose. Ci divertivamo sul serio – con le debite
precauzioni, ovviamente – come ragazzini con una scatola di giochi
pirotecnici tra le mani. Fu una vera sorpresa scoprire quanto piacesse
anche a me maneggiare esplosivi.
Tornavamo al Complesso nel primo pomeriggio, e là dovevamo salutarci.
Stylo gestiva dei corsi estivi di riparazione, ripasso e recupero per
guadagnare qualche Corona. Strano, pensai. Di solito, un prof guadagna
abbastanza da poter fare a meno di simili ripieghi, a meno che le lezioni
private non fossero sollecitate su espressa richiesta di qualche studente che
ne avesse bisogno in modo particolare. Ma nel caso di Stylo, le lezioni da
impartire mi sembravano un po’ troppe.
Quando gliene chiesi il motivo, e dalle sue risposte non troppo chiare
compresi che dovevano essere la sua unica fonte di reddito, inziai a
pensare che avesse qualcosa da nascondere.
Eravamo già abbastanza in confidenza perché mi sentissi in diritto di
rivolgergli domande abbastanza personali, così provai a insistere
sull’argomento: volevo vederci chiaro.
Ne approfittai la mattina di un giorno di festa, in cui eravamo andati in un
boschetto poco distante a fare un po’ di esercizio di tiro con l’arco, sport
che Stylo amava in modo particolare e in cui riusciva decisamente bene.
<< Sembri quasi più squattrinato di me, Stylo: com’è possibile che un
prof del tuo calibro guadagni così poco? >> gli chiesi quando rifiutò, dicendo di essere un po’ a corto di grana, la mia proposta di recarci, quella
sera, a bere qualche bicchiere di mamoa.
Gli avevo nominato un locale all'esterno del Complesso, frequentato
perlopiù da studenti, quindi abbastanza economico. Era il tipo di locale in
cui, fino a qualche settimana prima, non mi sarei mai azzardato a mettere il
naso, ma con Stylo...
In quel periodo mi sembrava di vivere in stato di grazia, e la sua amicizia
mi sembrava una grande conquista, la cosa più fantastica che fosse mai
potuta succedermi. Quando mai avevo avuto un amico? Quando mai avevo
potuto metter piede in un locale e trascorrervi del tempo senza che la mia
presenza scatenasse una rissa nel giro di qualche mezz’ora?
Doveva essersi subito sparsa la voce, tra i ragazzi, che l’uomo che
vedevano sempre in mia compagnia fosse un professore, perché bastava la
sua presenza a tenere alla larga anche i più irriducibili del litigio ad ogni
costo e della provocazione ad oltranza. Non che mi piacesse, nascondermi
all’ombra di qualcuno, ma finalmente avevo un po’ di pace di cui godere
un amico con cui condividerla: il che, ancora, non mi sembrava vero.
Le vacanze estive passano in fretta, e stavolta ero deciso a godermele
quanto più possibile, al pari di tutti gli altri.
<< Brian >> rispose prendendo la mira tendendo l’arco tra le mani
<< Non per tenerti all’oscuro dei fatti miei, ma è una storia privata tra me
e il rettore. Non sono qui con un regolare contratto. Sai bene anche tu che
per ottenere una cattedra nel Complesso delle Scienze di Ottol bisogna
avere alle spalle anni ed anni di esperienza o vantare nel proprio
curriculum qualche riconoscimento interplanetario. E' impensabile che si
possa concedere a chiunque il privilegio di insegnare alle giovani menti
più brillanti di tutta la galassia. E’ un istituto riservato ad un’elite: le
migliori famiglie di ogni pianeta darebbero – e danno – la metà delle loro
risorse perché i loro figli abbiano la possibilità di studiare in luoghi come
questo. Da qui escono i futuri pezzi da novanta della Federazione
Interplanetaria. >>
<< Si, questo lo so: ogni volta che arriva un postalaser da Bagen, i mie
non fanno altro che ripetermi di cercare di trarre il maggior profitto
possibile dal tempo che ho a disposizione qua dentro. E’ solo per loro che
cerco di resistere a quello che devo sopportare. Bagen si è appena affiliato
alla Federazione Interplanetaria, e hanno bisogno di qualcuno, in
Consiglio, che conosca alla perfezione le loro leggi, il loro sistema di
gestione dei pianeti, e la loro politica. Sarò io, a occupare il posto di mio
padre nel Cerchio del Potere, quando tornerò a casa. >>
<< Un’eredità dura da portare sulle spalle, eh? >>
<< Ho le spalle robuste. E devo resistere. Con quello che costa la retta qui
al Complesso delle Scienze, credo che i miei si stiano dissanguando per
mantenermi, nonostante siano tra i più ricchi del pianeta. Per cui, devo
farcela. Sarebbe un vero disonore, per me, se dovessi arrivare all’ultimo
corso con un punteggio scarso, o peggio, venire espulso per rendimento
insufficiente. >> spiegai, scoccando a mia volta una freccia.
<< Capisco. E il tuo punteggio, com’è? Posso darti qualche lezione di
chimica e fisica gratis, se pensi di averne bisogno. >>
<< Il mio punteggio è il più alto dell’intero Complesso. >> ammisi a denti
stretti, perché non mi è mai piaciuto vantarmi. << Ma qualche lezione mi
farebbe comodo: ci sono alcuni argomenti che mi piacerebbe approfondire
con qualcuno che ne sa più di me... >>
Stylo mancò il colpo e mi fissò, sbalordito. << Il più alto del
Complesso...>> ripeté sgranando gli occhi. << Mi stai prendendo in giro?
>>
<< No, per niente. Controlla, se vuoi. >>
<< E allora... Supremo Devaj, perché i ragazzi ce l’hanno tanto con te? Di
solito è sempre lo studente più scarso che viene messo alla berlina e deriso
da tutti come lo scemo del villaggio. Perché TU, allora? >>
<< Uh... Non devo certo averti fatto una buona impressione, se era questo
che pensavi di me. >> dissi prendendo l’arco che mi porgeva.
<< Infatti mi sembrava parecchio strano, conoscendoti. >>
<< Forse lo fanno per invidia. Magari non sopportano l’idea che un
provinciale possa essere meglio di loro. >>
<< Può darsi... vedo che anche nel tiro con ‘arco non te la cavi affatto
male. Quando inizierà il nuovo anno scolastico, alla prima riunione dei
docenti, proverò ad esporre il tuo caso. Non è possibile che... >> la freccia
raggiunse il centro del bersaglio.
<< Lascia perdere, Stylo: penserebbero che lo fai perché siamo amici.
Rischieresti soltanto fastidi, credo. E poi, la mia situazione è già
migliorata: quando siamo insieme ho un po’ di respiro. >>
<< Ma non è giusto che... >>
Si, lo so... vi lascio con un po' di suspance questa settimana...
Ma se non volete aspettare, potete sempre comprare subito i libri di Erika Corvo!
Erika Corvo su Amazon
Buona festa degli innamorati a tutti!
Che ne direste, miei ospiti interstellari dei Bastioni, di fare un regalo diverso dal solito per San Valentino?
Come se fosse dotato di occhi anche sulla nuca o di un sesto senso
particolare, sentiva se qualcuno gli si avvicinava da dietro, e in una
frazione di secondo si girava, proteggendo la schiena contro la parete più
vicina.
Aveva momenti in cui bastava un’inezia a farlo cadere in uno stato di
profonda tristezza, durante i quali si chiudeva in se stesso come un riccio,
e rispondeva a monosillabi a quel che gli dicevo nei miei tentativi di
risollevargli il morale.
L’unico modo di scuoterlo erano gli esplosivi: mi accorsi in fretta che
piacevano anche a lui, quasi quanto a me. Quando non trovavo altre
argomentazioni, bastava far brillare tre o quattro piccole cariche dalla
scorta che portavo quasi sempre con me per vederlo tornare di buonumore.
L’atteggiamento tipico dei reietti: se non mi è dato di creare, mi sia dato
almeno di poter distruggere.
Non so cosa mi attraesse, particolarmente, di quella personalità così
ombrosa. Certo, secondo il mio tornaconto personale, mi faceva un gran
comodo un’amicizia che non mi portasse troppo in giro e che non mi
presentasse a sua volta ad una lunga catena di amici e conoscenti, ma fatto
sta che in brevissimo tempo rimasi affascinato da quel ragazzo così solo e
così insolito. In tal modo decisi che valesse la pena di continuare a
frequentarlo, in barba a tutto quello che avrebbero potuto pensare gli altri
studenti.
PARLA BRIAN
Era pazzo. Supremo Devaj, doveva essere più pazzo di me per dedicarmi
tutta la sua pazienza, la sua attenzione, e il suo tempo libero.
Dopo l’incidente che portò al nostro primo incontro, gli fu revocato il
permesso di condurre i suoi esperimenti esplosivi all’interno del perimetro
del Complesso, così ripiegò su alcune aree semiabbandonate a poche ore di
veicolo dall’istituto.
Con la scusa che, se l’avevano sfrattato da lì era stato per causa mia, andò
avanti ad insistere perché ogni volta mi recassi con lui per aiutarlo con gli
strumenti e le misurazioni.
Un po’ mi sentivo effettivamente in colpa, e vuoi perché non è mai
prudente contraddire un professore, vuoi perché mi era veramente
simpatico, mi trovai ogni volta a dirgli di sì.
E riuscì a coinvolgermi.
Partivamo il mattino, di buon’ora. Stylo noleggiava un veicolo a cuscinetto
e con quello si raggiungeva la zona prescelta. Piazzavamo le cariche, le
facevamo brillare, e intanto eseguivamo misurazioni e verifiche di ogni
genere; lui prendeva appunti, faceva calcoli, ed elaborava teorie.
Aveva certe idee sul modo di stabilizzare alcune miscele detonanti di sua
invenzione e non vedeva l’ora di provarne l’esattezza, ma credo di non
sbagliare di molto affermando che fossero tutte scuse inconsce per dare
sfogo all’indole da dinamitardo che era in lui. Quando era soddisfatto
dell’andamento della giornata, mettevamo via tutto e ci si divertiva a far
saltare le cariche ancora inesplose. Ci divertivamo sul serio – con le debite
precauzioni, ovviamente – come ragazzini con una scatola di giochi
pirotecnici tra le mani. Fu una vera sorpresa scoprire quanto piacesse
anche a me maneggiare esplosivi.
Tornavamo al Complesso nel primo pomeriggio, e là dovevamo salutarci.
Stylo gestiva dei corsi estivi di riparazione, ripasso e recupero per
guadagnare qualche Corona. Strano, pensai. Di solito, un prof guadagna
abbastanza da poter fare a meno di simili ripieghi, a meno che le lezioni
private non fossero sollecitate su espressa richiesta di qualche studente che
ne avesse bisogno in modo particolare. Ma nel caso di Stylo, le lezioni da
impartire mi sembravano un po’ troppe.
Quando gliene chiesi il motivo, e dalle sue risposte non troppo chiare
compresi che dovevano essere la sua unica fonte di reddito, inziai a
pensare che avesse qualcosa da nascondere.
Eravamo già abbastanza in confidenza perché mi sentissi in diritto di
rivolgergli domande abbastanza personali, così provai a insistere
sull’argomento: volevo vederci chiaro.
Ne approfittai la mattina di un giorno di festa, in cui eravamo andati in un
boschetto poco distante a fare un po’ di esercizio di tiro con l’arco, sport
che Stylo amava in modo particolare e in cui riusciva decisamente bene.
<< Sembri quasi più squattrinato di me, Stylo: com’è possibile che un
prof del tuo calibro guadagni così poco? >> gli chiesi quando rifiutò, dicendo di essere un po’ a corto di grana, la mia proposta di recarci, quella
sera, a bere qualche bicchiere di mamoa.
Gli avevo nominato un locale all'esterno del Complesso, frequentato
perlopiù da studenti, quindi abbastanza economico. Era il tipo di locale in
cui, fino a qualche settimana prima, non mi sarei mai azzardato a mettere il
naso, ma con Stylo...
In quel periodo mi sembrava di vivere in stato di grazia, e la sua amicizia
mi sembrava una grande conquista, la cosa più fantastica che fosse mai
potuta succedermi. Quando mai avevo avuto un amico? Quando mai avevo
potuto metter piede in un locale e trascorrervi del tempo senza che la mia
presenza scatenasse una rissa nel giro di qualche mezz’ora?
Doveva essersi subito sparsa la voce, tra i ragazzi, che l’uomo che
vedevano sempre in mia compagnia fosse un professore, perché bastava la
sua presenza a tenere alla larga anche i più irriducibili del litigio ad ogni
costo e della provocazione ad oltranza. Non che mi piacesse, nascondermi
all’ombra di qualcuno, ma finalmente avevo un po’ di pace di cui godere
un amico con cui condividerla: il che, ancora, non mi sembrava vero.
Le vacanze estive passano in fretta, e stavolta ero deciso a godermele
quanto più possibile, al pari di tutti gli altri.
<< Brian >> rispose prendendo la mira tendendo l’arco tra le mani
<< Non per tenerti all’oscuro dei fatti miei, ma è una storia privata tra me
e il rettore. Non sono qui con un regolare contratto. Sai bene anche tu che
per ottenere una cattedra nel Complesso delle Scienze di Ottol bisogna
avere alle spalle anni ed anni di esperienza o vantare nel proprio
curriculum qualche riconoscimento interplanetario. E' impensabile che si
possa concedere a chiunque il privilegio di insegnare alle giovani menti
più brillanti di tutta la galassia. E’ un istituto riservato ad un’elite: le
migliori famiglie di ogni pianeta darebbero – e danno – la metà delle loro
risorse perché i loro figli abbiano la possibilità di studiare in luoghi come
questo. Da qui escono i futuri pezzi da novanta della Federazione
Interplanetaria. >>
<< Si, questo lo so: ogni volta che arriva un postalaser da Bagen, i mie
non fanno altro che ripetermi di cercare di trarre il maggior profitto
possibile dal tempo che ho a disposizione qua dentro. E’ solo per loro che
cerco di resistere a quello che devo sopportare. Bagen si è appena affiliato
alla Federazione Interplanetaria, e hanno bisogno di qualcuno, in
Consiglio, che conosca alla perfezione le loro leggi, il loro sistema di
gestione dei pianeti, e la loro politica. Sarò io, a occupare il posto di mio
padre nel Cerchio del Potere, quando tornerò a casa. >>
<< Un’eredità dura da portare sulle spalle, eh? >>
<< Ho le spalle robuste. E devo resistere. Con quello che costa la retta qui
al Complesso delle Scienze, credo che i miei si stiano dissanguando per
mantenermi, nonostante siano tra i più ricchi del pianeta. Per cui, devo
farcela. Sarebbe un vero disonore, per me, se dovessi arrivare all’ultimo
corso con un punteggio scarso, o peggio, venire espulso per rendimento
insufficiente. >> spiegai, scoccando a mia volta una freccia.
<< Capisco. E il tuo punteggio, com’è? Posso darti qualche lezione di
chimica e fisica gratis, se pensi di averne bisogno. >>
<< Il mio punteggio è il più alto dell’intero Complesso. >> ammisi a denti
stretti, perché non mi è mai piaciuto vantarmi. << Ma qualche lezione mi
farebbe comodo: ci sono alcuni argomenti che mi piacerebbe approfondire
con qualcuno che ne sa più di me... >>
Stylo mancò il colpo e mi fissò, sbalordito. << Il più alto del
Complesso...>> ripeté sgranando gli occhi. << Mi stai prendendo in giro?
>>
<< No, per niente. Controlla, se vuoi. >>
<< E allora... Supremo Devaj, perché i ragazzi ce l’hanno tanto con te? Di
solito è sempre lo studente più scarso che viene messo alla berlina e deriso
da tutti come lo scemo del villaggio. Perché TU, allora? >>
<< Uh... Non devo certo averti fatto una buona impressione, se era questo
che pensavi di me. >> dissi prendendo l’arco che mi porgeva.
<< Infatti mi sembrava parecchio strano, conoscendoti. >>
<< Forse lo fanno per invidia. Magari non sopportano l’idea che un
provinciale possa essere meglio di loro. >>
<< Può darsi... vedo che anche nel tiro con ‘arco non te la cavi affatto
male. Quando inizierà il nuovo anno scolastico, alla prima riunione dei
docenti, proverò ad esporre il tuo caso. Non è possibile che... >> la freccia
raggiunse il centro del bersaglio.
<< Lascia perdere, Stylo: penserebbero che lo fai perché siamo amici.
Rischieresti soltanto fastidi, credo. E poi, la mia situazione è già
migliorata: quando siamo insieme ho un po’ di respiro. >>
<< Ma non è giusto che... >>
Si, lo so... vi lascio con un po' di suspance questa settimana...
Ma se non volete aspettare, potete sempre comprare subito i libri di Erika Corvo!
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Buona festa degli innamorati a tutti!
lunedì 11 febbraio 2013
A Scuola con Portamento di Antonella Sgueglia
Una volta tanto, miei cari visitatori dei Bastioni, non si parla di alieni, mondi fantastici e cimiteri.
Antonella non ci porta in viaggio molto lontano, anzi rimaniamo coi piedi ben ancorati al pianeta Terra, per addentrarci però poi in realtà a noi pirati dello spazio sconosciute.
Come il mondo della moda.
Quindi non vi rubo altro tempo, ma lascio parlare la nostra guida in queste acque pericolose...
«Hai portato le cartoline a scuola, amore mio?» aveva domandato
impaziente sicura di ricevere numerosi ospiti quel pomeriggio. «Devo sapere
quanti ragazzi vengono prima di andare in rosticceria.»
Biografia
dell’autrice.
L’ebook è attualmente disponibile
solo su amazon.it a 2,68 € pubblicato tramite KDP a questo link:
Antonella non ci porta in viaggio molto lontano, anzi rimaniamo coi piedi ben ancorati al pianeta Terra, per addentrarci però poi in realtà a noi pirati dello spazio sconosciute.
Come il mondo della moda.
Quindi non vi rubo altro tempo, ma lascio parlare la nostra guida in queste acque pericolose...
Sinossi dell’opera.
“A scuola con portamento” è un romanzo per ragazze che narra le vicende di un’adolescente, Cristina, alle prese con un momento alquanto delicato della sua vita. I suoi genitori sono separati e lei vive con la madre.
Cri è una mixed race, nata da madre italiana e padre haitiano; il colore della sua pelle è scuro e non sa come valorizzarsi, essendo tanto diversa dalla madre. Non solo, le ragazze più popolari della scuola la prendono in giro e Cri non sa come ribellarsi. Ha soltanto un’amica, Gio, ma non le basta.
Per caso, nota che un’agenzia di moda della sua città è alla ricerca di nuovi volti e decide, accompagnata dalla madre, di partecipare. Superata la selezione, Cri frequenta un corso di portamento, trucco, posa fotografica e bon ton che rappresenta l’inizio del suo cambiamento. Da ragazza insicura e timida riesce ad esternare il suo mondo interiore.
Nel libro diversi capitoli sono dedicati a delle sessioni formative sulle quattro materie del corso; in questo modo la lettrice può imparare tutto ciò che c’è da sapere sull’argomento e cimentarsi insieme alla protagonista nei vari esercizi. Per tanto, questo ebook è rivolto non solo a coloro che sognano di diventare indossatrici ma soprattutto a chiunque desideri sentirsi meglio con se stessa.
Un romanzo-manuale dedicato al mondo della moda e degli adolescenti, con i loro problemi e la difficoltà nell’aprirsi anche con chi li ama.
Ed ecco ora un piccolo estratto...
«Hai portato le cartoline a scuola, amore mio?» aveva domandato
impaziente sicura di ricevere numerosi ospiti quel pomeriggio. «Devo sapere
quanti ragazzi vengono prima di andare in rosticceria.»
«Scusa mammina mi sono dimenticata di dirti che i miei compagni
avevano degli allenamenti e non possono venire da noi.»
Cri sapeva bene che se avesse confessato la verità sua madre non
l’avrebbe capita. Figuratevi che voleva presentarsi a scuola personalmente per
invitare tutti. Un caratterino molto pepato e frizzante che pensava sempre ai
suoi desideri e non a Cri.
Quello che la signora Adelina non riusciva a comprendere era la
difficoltà della figlia nell’inserirsi in un nuovo contesto sociale, partendo
dai pregiudizi e dalle insicurezze che nascono nei confronti di chi ha il
colore della pelle diverso dal nostro. Sì, la piccola Cri è di uno splendido
color bronzo che fa risaltare maggiormente i suoi magnifici occhi verde
smeraldo, grandi quanto la sua solitudine. Adelina non sa cosa significhi il
disagio di chi ha un dettaglio differente dalla comunità e conviverci stando
sul chi va là ogni volta che qualcuno ti osserva, con il timore di essere presi
in giro o guardati con diffidenza. Lei è di colore chiaro mentre suo marito, o
meglio ex marito, Roger Morin è haitiano, da qui il colore scuro di Cri,
all’anagrafe Cristina Morin.
Biografia
dell’autrice.
Antonella Sgueglia, è traduttrice Freelance di lingua inglese.
Vincitrice del concorso “Verrà il mattino e avrà un tuo verso”
indetto da Aletti editore con la poesia “Seppur nascessi cento volte”.
“A scuola con portamento” è il suo primo romanzo di narrativa per
ragazzi.
In primavera il suo romanzo di narrativa femminile “Dove osano le
farfalle”, pubblicato da EMV edizioni, sarà in tutte le librerie e gli online
stores.
Un altro lavoro è in fase di valutazione.
L’ebook è attualmente disponibile
solo su amazon.it a 2,68 € pubblicato tramite KDP a questo link:
Link della pagina facebook: facebook A Scuola di Portamento
Sito web dell’autrice: antonellasgueglia.altervista.org
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